Una chiacchierata tra gli autori spaziando tra il senso della vita e la durezza della vita montana di inizio secolo. Parecchi spunti di riflessione sul valore della vita semplice e di quello che si può riuscire a fare con la forza di volontà.
Il titolo è fedele: non c'è quasi niente di interessante.
Due vecchietti che si raccontano storie che potrebbero essere pure interessanti, ma senza nè capo nè coda, infatti il libro finisce così all'improvviso.
Soprattutto lamenti.
Lungo dialogo tra Corona e Majeron su argomenti di montagna, quella montagna dove "non nevica firmato".
Mi sono piaciute soprattutto le storie di vita, quella di Anna e Nel, del trio Pakai, dei quattro alpini di Cercivento.
Questo libro mi ha molte volte fatto pensare a mio padre, uomo spesso difficile nel quotidiano ma comprensibile se riferito alla mentalità del Friuli di una volta.
Se tuto gnènt”(È tutto niente) è una citazione di Mario Rigoni Stern riportata all’inizio del libro e che, in qualche modo, ne costituisce uno dei fili conduttori. Quasi niente è una raccolta di discorsi tra due amici che si legge d’un fiato e nella quale si fa i conti con la vita, con se stessi, con quello che si è stati, con gli errori, con onestà e lealtà. Raccolta non indispensabile, forse, ma godibile.
In una malinconica giornata di ottobre i due si trovano di fronte al Col Nudo, la punta più alta delle Prealpi venete. Da piccolo, uno dei due, vedendo quella punta meravigliosa desiderava salirci. Era il suo sogno e avere sogni è tutto, i desideri, invece, ci spengono. Non è un caso che i sogni siano propri dell’infanzia che lasciano il posto ai desideri, tipici dell’età adulta. I due parlano delle donne di quei luoghi e ricordano la storia di Anna, cresciuta nel linguaggio della solitudine e morta per amore. Anna che non si vendica: lei non è capace di odiare, Anna è consapevole del fatto che il dolore è parte integrante della vita. E parlano del coraggio femminile della forza di quegli esseri che hanno l’innata capacità di elaborare il dolore, agli uomini non hanno insegnato a perdere, non hanno insegnato loro il valore della sconfitta che, spesso, è stimolo a migliorarsi. E continuano ricordando uomini che hanno visto in faccia il dolore e che di quel dolore ne hanno fatto la loro forza: Orlandin che aveva perso entrambe le mani a seguito dello scoppio di una bomba, a soli quindici anni. Orlandin che senza mani non poteva più suonare la sua fisarmonica e che, nella sua piccola bottega, voleva costruire nuovi arti che sapessero suonare. E ci riuscì. O la storia di Donada, il contrabbassista, che perse la falange dell’indice: il dito per lui più importante. Ma continuò a suonare: con un dito di legno vuoto simile a un ditale…
“Ma provando a vedere la vita con lealtà devo schierarmi dalla parte della donna. In queste valli sono stato uno dei primi a dire che era uguale al maschio, forse meglio. Nei libri ho dato alla donna il valore che ha e che merita, soprattutto a quelle donne che sono state sconfitte, picchiate, massacrate e alla fine ne sono uscite con dignità.” (Pag. 9)
Dall’amicizia tra Mauro Corona e Luigi Maieron, grande musicista friuliano, è nato questo libro che ha i toni di una lunga chiacchierata. E come le buone chiacchierate tra amici si può tranquillamente passare dai ricordi dell’infanzia, anche quelli tristi e dolorosi, al riportare in vita storie vecchie che hanno il sapore di leggende. E nelle pagine scorrono le vicende di personaggi comuni, ma che hanno qualcosa di speciale perché amavano la vita, perché erano animati da forti passioni come, per esempio, la musica. Personaggi che, solo in certi luoghi, son diventati leggendari, ma mai famosi, ai quali la penna di Mauro Corona si è ispirata nei suoi romanzi perché il loro ricordo non venisse a morire. E poi citazioni, richiami letterari e musicali, discorsi sull'educazione, sulle radici “elastiche” che per quanto ci si allontani da esse si potranno assottigliare, ma mai recidersi, sui mali del nostro tempo, parole a cascata dominate dalla compagnia calda e austera della montagna, saggia madre e anche matrigna. Montagna come libertà, montagna che è maestra. E la montagna, gli errori commessi e la vita insegnano, sempre.
“Alziamo il culo la mattina e ci sentiamo colpevoli di qualcosa che non abbiamo fatto. Siamo in trappola di noi stessi se non ci rassegniamo che possiamo anche perdere e fallire.” (Pag. 31)
E ci si rende conto, dopo anni, che la vera felicità sta nel non avere desideri e capire di non essere il centro del mondo, ma di esserne parte. Una sorta di riconciliazione con se stessi e con il mondo.
...ContinuaRiflessioni tra due amici sui massimi sistemi, per la serie "si stava meglio quando si stava peggio", un tempo c'era la solidarietà, si era tutti più uniti, ci si perdonava...ecc. Poi però ci sono anche episodi ed osservazioni più vere, quelle che si rifanno ad eventi autobiografici: al padre violento di Corona e al suo alcolismo, all'incidente che accadde alla figlia di Maieron e a sua madre che si ritrovò incinta a sedici anni di un uomo molto più anziano di lei, già sposato, venuto dal sud per lavorare. Interessanti anche i racconti sulla gente di montagna che ha vissuto tempi e luoghi molto duri, il freddo, la fame, la guerra. Queste sono le pagine che mi sono piaciute di più, quelle che mi sono sembrate più autentiche. Il resto si legge come se ci trovassimo ad ascoltare una conversazione tra vecchi amici al bar davanti a un bicchiere di vino. Piacevole lettura, ma nulla di imperdibile
...Continua