Devo dire che dopo lo scivolone de "Il metodo Catalanotti", questa è una bella redenzione per Montalbano, che se ne va (nel senso che, come si sa, questo è l'ultimo romanzo della serie) con la testa alta e tutti gli onori.
Non a caso il libro è stato scritto parecchi anni prima de "Il metodo Catalanotti", quando Camilleri era ancora in ottima forma. Ed è stata davvero un'idea eccellente quella di scrivere in quegli anni l'ultimo romanzo di Montalbano, perché sarebbe stato tragico doverlo salutare con un romanzo stanco e buttato lì.
E invece: giallo intrigante, stile brillante, personaggi ben tratteggiati, Montalbano al suo meglio.
Forse, in un romanzo di commiato, Livia avrebbe meritato di più (qui compare solo in due telefonate, fastidiosa come non mai), e forse mi sarebbe piaciuto poter salutare anche Augello (totalmente assente), ma tant'è, Camilleri ha deciso così.
Bellissimi però i dialoghi con l'Autore (qui viene fuori tutta la genialità di Camilleri) e straordinario l'espediente con cui cala il sipario su Montalbano. Ci voleva una chiusura così. Punto.
Ho amato tutti i romanzi iniziali di Montalbano, poi per me qualcosa nel meccanismo si è inceppato e i successivi lo ho trovati costruiti e noiosi. Ci ho riprovato con questo, ma la sensazione di è solo rafforzata:(
Quando ho iniziato questo libro, mi aspettavo una classica storia “alla Montalbano”, ironia, indagini e quel dialetto che tanto mi fa provare nostalgia della mia terra. Questi elementi non sono affatti mancati in Riccardino, al quale si aggiunge stavolta un personaggio del tutto nuovo e inconsueto, quello dell’Autore, con il quale lo stesso commissario si trova spesso a discutere. Montalbano in queste pagine appare diverso, sembra stanco di lavorare e addirittura sollevato quando gli vengono sottratte - temporaneamente - le redini delle indagini.
Un romanzo sicuramente originale rispetto agli altri della serie, come hanno già detto altri utenti molto “pirandelliano”, con un finale altrettanto singolare.