"Fortunati sono quegli uomini e quelle donne che nascono in un'epoca in cui è in corso una grande battaglia per la libertà umana. Ed è una fortuna in più avere dei genitori che prendono parte ai grandi movimenti del loro tempo in prima persona."
Sono queste le parole che aprono l'autobiografia di Emmeline Pankhurst, fondatrice della Women's Social and Political Union (WSPU) e leader del movimento suffragista nel Regno Unito, sono le prime parole di una donna forte e coraggiosa ma soprattutto di una personalità in grado di ispirare migliaia di donne attraverso le proprie parole, di guidare un movimento che per anni hanno cercato di nascondere e abbattere, di infondere coraggio e spronare migliaia di vite a non arrendersi davanti a nulla per combattere per i propri diritti e per le future generazioni.
Ovviamente non si tratta di una vera e propria autobiografia, solamente nelle prima pagine la Pankhurst accenna brevemente ai genitori, alla sua infanzia, alla sua adolescenza e dopo ancora all'incontro che le cambierà la vita, quello con il marito; ma è degno di nota un episodio che ci racconta e che, a quanto pare, è stato la presa di coscienza che essere donna non era esattamente una condizione favorevole per chi voleva di più dalla vita, la Pankhurst narra di come una sera, i genitori erano soliti a fare un giro di letti per dare la buonanotte ai figli, il padre entrato in camera e convinto che dormisse, pronunciò le parole "Che peccato che non sia un ragazzo": questa frase procurò l'effetto domino, da qui partirono ragionamenti, domande e risposte e si sviluppò l'ideale del diritto al voto per le donne.
Dopo queste prime pagine veniamo letteralmente trasportati nel contesto socio-politico dei primi anni del Novecento, in quegli anni che vedono le donne scendere in strada per protestare e per chiedere i propri diritti: i primi anni del movimento costituiscono battaglie all'insegna del pacifismo attraverso dibattiti e riunioni, cercando di avere incontri con il governo e di trovare un'intesa con partiti che appoggiavano l'ideale del movimento, raccogliendo consensi e riunendo più donne possibili per portare all'attenzione, anche del popolo ma soprattutto della stampa, il disagio e la realtà del fatti.
Ma quando le suffragette verranno ripagate con la violenza e il carcere allora la situazione si farà sempre più esasperante e pericolosa ed è così che nasceranno soprusi, violenza, atti di criminalità e quant'altro e per quelle donne così combattive rimarrà solo una via d'uscita, una vera e propria rivoluzione.
La Pankhurst ci narra episodi veramente tosti da digerire, una crudeltà che io non mi aspettavo, certe torture che le hanno viste vittime sono da condannare e sono, ai giorni nostri, impensabili.
Il voto tiepido che ho assegnato è dovuto al fatto che ci sono due distinte parti che compongono questo libro e se l'una l'ho apprezzata l'altra mi ha leggermente annoiata, ma mi spiego meglio.
Da una parte assistiamo al racconto "rivoluzionario", come il movimento si comporta davanti agli ostacoli che gli si frappongono, come agisce in vista dei continui rimandi del governo e dei ministri che sembrano essere favorevoli, come combatte in strada e in carcere. Questa è la parte che più ho apprezzato, quella più emotiva e sentita se vogliamo: i racconti dei giorni e delle settimane passate in prigione, la costanza di queste donne che per essere riconosciute come prigioniere di guerra si impongono lo sciopero della fame, il racconto tremendo dell'alimentazione forzata che veniva loro imposta dai medici carcerieri, una tortura sofferta che lacerava lo stomaco e che però non le ha fermate, il racconto della stessa Pankhurst e di come a quello della fame ha seguito lo sciopero della sete e addirittura del sonno e infine di come, dopo pochi giorni, ormai venivano liberate perchè allo stremo delle forze, quasi del tutto morenti. C'è chi ha perduto la vita per non darla vinta al governo, chi è morto per la debilitazione causata dalle ristrettezze del carcere, chi è stato picchiato a morte dalla polizia e chi si è sacrificato volontariamente come Emily Davison che durante una gara si scagliò contro il cavallo di Re Giorgio V con la bandiera suffragista in onore della causa.
Dall'altra parte invece c'è tutta la questione politica che ovviamente deve avere il suo spazio ma il modo in cui è stata gestita mi ha un po' infastidita: tra le pagine del racconto infatti ci sono questi lunghi momenti in cui la Pankhurst si perde in leggi, decreti, date e nomi. A parer mio, il suo non è stato il modo migliore per destreggiarsi in anni di legislazioni: capita che in una sola pagina vengano ricordate tre leggi diverse, con nomi affini, che lei utilizza per farci capire il contesto ma che risulta invece abbastanza confusionario. Stesso discorso lo potrei fare per le personalità politiche che vengono chiamate in causa, ad eccezione di pochi che vengono ripetutamente e giustamente tirati in ballo, spesso gli altri che vengono citati solo un paio di volte non si riescono a collocare perfettamente. Quando ci si immerge in questi argomenti ci vorrebbe maggiore chiarezza.
L'autobiografia di Emmeline Pankhurst è sicuramente interessante, è uno spaccato di storia che ancora oggi dovrebbe far riflettere molti, è un libro che consiglierei a certi/e che non capiscono che, in mondo comunque ancora troppo maschilista e sessista, siamo libere di fare certe cose grazie a chi è sceso in campo a combattere per il futuro e che dovremmo noi ora essere grate e degne di avere questi diritti.
Interessante sì, ma sono comunque convinta che potesse dare un pochino di più.
"Noi siamo qui non perché vogliamo infrangere la legge; siamo qui perché le leggi vogliamo farle."
...Continua