La vita di Edith Nesbit è appena meno romanzesca delle trame da lei inventate per i suoi romanzi (come sa bene Antonia Byatt): The Railway Children, tra molti altri, inquadra una figura femminile dai tratti moderatamente autobiografici (anche se la figura del padre assente in questo caso appare nobilitata dalla sventura della ingiusta accusa). Costretti dall'arresto del padre a rinunciare alla loro vita comoda e borghese a Londra, i bambini del titolo si rifugiano in una più piccola casa di campagna, situata vicino ai binari di una ferrovia. Mentre la madre si arrabatta per rendere la sua attività letteraria da raffinato divertisement di moglie fonte di sostentamento per tutta la famiglia, i tre bambini scoprono il treno, poi la stazione, dunque la variegata antropologia che popola il villaggio, segnalandosi per la capacità innocente che hanno di stringere, con chiunque incontrino, legami sinceri e duraturi. L'happy end è ovviamente dietro l'angolo, ma - come in ogni Bildungsroman in miniatura che si rispetti - i bambini che si ritroveranno, infine, pronti a tornare alla vita precedente saranno più grandi, più saggi, più autentici, proprio grazie alla scoperta di una vita libera e all'aria aperta, dei giovani cittadini che erano in origine. Con romanzo lieve, intelligente, della giusta lunghezza - la Nesbit educa, ma senza parere, e intanto intrattiene soavemente. Regalando anche un intermezzo, occasionale, così tipico della tradizione anglosassone, di piacevoli limericks e/o nursery rhymes.
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