Ho letto solo due libri di Christian Jacq, il primo dei quali a dodici anni: col senno di poi, mi rendo conto che il suo stile ha un target decisamente adolescenziale.
Non che scriva male, affatto, ma con Ramses Il figlio della luce è stato come leggere una fiaba. Leggera, scorrevole ma intensità scarsina.
Il libro affronta la giovinezza di Ramses fino alla sua ascesa al trono. Come ho letto in altre recensioni, la trama è schematica:
1) Ramses è chiamato ad affrontare una peripezia di qualche tipo;
2) Ramses affronta la peripezia in questione;
3) Ramses supera la già detta peripezia e fa la calza, metaforicamente parlando, in attesa che ne arrivi un’altra
Ovviamente, al centro di tutto c’è questo Ecce Homo atletico, valoroso, tenace, passionale … Attorno a lui un trenino di macchiette senza spessore alcuno. Sembra che Jacq non sia in grado di parlarne se non per aggettivi. E così abbiamo il gracile Ameni, la bella Iset, l’opulento fratello Shenar e via dicendo.
Quando poi pensavo di aver visto tutto, carramba che sorpresa!, approda in Egitto una parte della flotta greca, di ritorno da Troia.
Grazie al cielo, ne so abbastanza per dire che, sì, Menelao fece tappa in Egitto durante il suo movimentato ritorno ma era proprio necessario scomodare l’epica greca per questo romanzo? Per Jacq sì, a quanto pare, ed ecco che il rozzo Menelao, la sua sposa Elena che in Egitto scopre una libertà sconosciuta alle donne greche e (Signore, dammi la forza) Omero arrivano a corte, scatenando non pochi grattacapi.
Di questo libro, con cui ho ufficialmente smesso di leggere altro di Christian Jacq, salvo solo la parte più mistica, legata ai riti e alle epifanie varie. Almeno quella, un pizzico di interesse me l’ha suscitato