Quando io e il mio amico Massimo eravamo due giovanissimi appassionati, ma poco esperti di musica, fantasticavamo spesso sul "Black album" di Prince, uscito in pochissime copie, con la copertina completamente nera e senza alcun riferimento al cantante.
Eravamo d'accordo che non avremmo mai comprato un disco a scatola chiusa senza sapere di chi fosse, ma continuavamo a chiederci che tipo di canzoni ci avesse inserito Prince. Nel frattempo non potevamo certo lamentarci: avevamo a nostra disposizione numerosi suoi album: "Parade", "Around the world in a day", "Sign o' the times" e poi "Lovesexy" con quella coperina dove lui stava seduto nudo su un fiore, mezzo uomo e mezzo donna, che io guardavo chiedendomi se mi attraesse o mi ripugnasse. Non lo capivamo bene io e Massimo, ma ne eravamo conquistati: suonava il funk, il soul, il rock e il rap, era mezzo nero e mezzo bianco, bassissimo e femmineo ma super maschio al tempo stesso. Nella sua musica ritrovavamo senza saperlo la stria della musica nera americana: James Brown, Marvin Gaye, Jimi Hendrix, Little Richard.
Ah, ma io dovevo parlare del libro...
Lo ammetto: l'ho letto solo per il titolo, che è un omaggio al genio di Minneapolis, ma Kureishi mi aveva deluso un po' dopo il Budda delle periferie. Qui devo ammettere che non è male, c'è un bellissimo spaccato dell'Inghilterra di fine anni '80 (quella che io frequentavo ancora), il protagonista a tratti ti fa innervosire perché è un po' coglione, ma alla fine lo perdoni perché neanche lui può fare a meno dei suoi dischi di Prince.
Secondo romanzo di Kureishi, pubblicato nel 1995 ma ambientato nel 1989; anno che non è solo della Caduta del Muro di Berlino, ma anche della pubblicazione di "Versetti satanici" e della relativa fatwa su Rushdie. In questa Londra sconvolta, più dalla fatwa che dal Muro, si muove Shahid, giovane pakistano di famiglia benestante. Per suo tramite, Kureishi ci mostra come si reclutano gli estremisti musulmani, ma anche come uno studente può opporsi all'indottrinamento usando quel cervello che gli Imàm vogliono spegnere.
Credo sia questo il pregio di questo romanzo, nel 1995 ha puntato i fari su un problema che ancora non era tale, ma forse già s'intuiva che avrebbe pesantemente inquinato i decenni a venire. Scritto benissimo, ricco di spunti di riflessione e con una trama accattivante.
Giusto un mese fa mi sono fratturato un piede. La maggior parte dei miei conoscenti, facendomi gli auguri di pronta guarigione, mi ricordavano che la nuova immobilità casalinga alla quale sarei stato costretto giocoforza, mi avrebbe dato tutto il tempo per leggere chissà quanti libri. Ma come avviene talvolta ai pronostici più scontati, tutto ciò non è avvenuto. Per la gran parte del lungo e tediosissimo tempo che sono stato bloccato in casa, non ho praticamente letto niente, almeno fino a qualche giorno fa quando mi è arrivato dalla biblioteca questo §The Black Album§ di H. Kureishi che ho divorato in 4 giorni.
Scritto nel 1995, ambientato nel 1989, questo romanzo sembra raccontarci l'Oggi.
Narra infatti le vicende di Shahid un giovane pakistano che studia a Londra senza particolare successo e con in testa la confusione tipica dei vent'anni, quando il mondo ti si para davanti complesso e troppo pieno di possibilità inesplorate. Fin da subito il giovane Shahid, solo nella metropoli – a parte un fratello con una personalità troppo esuberante e dominante per essergli veramente di aiuto – si trova in mezzo a due realtà contrapposte e in conflitto che lo esortano a schierarsi. Shahid infatti inizia a frequentare un gruppetto di connazionali che si sono radicalizzati all'islam e lo fanno sentire parte di una comunità che riscopre le proprie tradizioni, che contrappone all'annientamento nella “corrotta” società edonistica, atea, immorale inglese, il culto dell'abbandono e dell'ubbidienza a Dio, ma anche la voglia di rivalsa nei confronti di una politica che li ha messi ai margini, umiliandoli e ghettizzandoli. Ma contemporaneamente il giovane pakistano prenderà ad uscire anche con la disinibita professoressa, Deedee Osgood, che assume assieme a lui ecstasy, ballando fino all'alba trascinati dal morbido e splendido calore sensuale della chimica e soprattutto gli fa scoprire il vero sesso, quello giocoso e privo di stupide inibizioni. Due mondi in forte contrasto: quello dei fondamentalisti fatto di moschee, citazioni dal libro sacro, proibizioni, veli, repressioni delle pulsioni sessuali e l'altro, fatto di rave londinesi di periferia, feste nelle quali ritrovarsi abbracciati a sconosciuti, ma anche cene romantiche assieme alla professoressa consumando vino e marijuana. Cosa preferirà Shahid, l'appartenenza e le tradizioni o il nuovo, l'eccitante inesplorato mondo della “sporca” società capitalistica?
Ora, chi vi scrive se a vent'anni fosse stato posto di fronte al dilemma di scegliere fra Droghe&Sesso da una parte e Tradizione&Rinuncia per una Rinascita dall'altra, ad optare per la prima ci avrebbe messo molto meno che un velocista ad uscire dai blocchi, ma già il fatto che Kureishi ti faccia immedesimare in Shahid e spingerti a “scegliere” al posto suo, rappresenta una vittoria per lo scrittore. Perché la vicenda ti rapisce fin da subito e ti fa sentire in mezzo a questi due mondi contrapposti nel quale il protagonista si dibatte. Una manciata di personaggi, tutti più o meno delineati con un certo garbo, una serie di posizioni filosofiche, intellettuali, sociali espresse quasi sempre attraverso il dialogo, il confronto fra i personaggi, una vicenda che si dipana in un percorso temporale limitato, un ritmo sempre piuttosto alto, sono tutti ingredienti di questo romanzo che si legge con piacere. Forse non siamo al cospetto di un libro importante o perfettamente riuscito, né, persino, troppo originale, ma per quanto mi riguarda Kureishi fa centro, senza alcun tentennamento.
“L’evoluzione sentimentale” di Shahid, studente pakistano benestante nella Londra del 1989, anno della caduta del muro di Berlino e della condanna a morte di Salman Rushdie.
Le periferie multietniche, fra sporcizia degrado e disperazione. La notte, i locali più trendy, la musica più trendy.
Shahid si dovrà districare fra due opposti estremismi: le esperienze di piacere hard boiled fra sesso droghe e alcol della professoressa Deedee Osgood, ex femminista progressista che rappresenta il pensiero libero occidentale e la libertà di godere di tutto ciò che la vita offre - anche se in modo un po’ disperato, alla rave party, alla sballiamoci fino a cadere in terra senza sensi. E gli amici fondamentalisti islamici che tentano di trascinarlo nel seno pericolosamente caldo dell’identità di origine e religione, ammaliandolo con l’idea che affidarsi all’ordine precostituito di Dio sia l’unico modo di essere felici e di riscattarsi da un mondo di ingiustizie e soprusi. Lasciarsi andare fiduciosi a un Dio che governa ogni norma di comportamento, che ti libera dai travagli terreni, un Dio che indica il cammino, che promette e rassicura. Il Dio monoteista della verità assoluta e del tutto il resto è da combattere con ogni mezzo.
E intanto che ci siamo, iniziamo dai libri, bruciamoli tutti quei libri blasfemi! E poi distruggiamo case, picchiamo, uccidiamo. Creiamo armate di combattenti, creiamo l’ISIS.
L’attualità di questo libro un po’ datato sta proprio qui, nei meccanismi di reclutamento che oggi non devono essere tanto diversi da quelli descritti.
Il voto giusto sarebbe tre e mezzo.