"Un tempo pensavo che la libertà fosse la libertà di parola, di stampa, d'opinione. Ma la libertà è tutta la vita di tutta la gente: è il diritto di seminare quel che vuoi, di fare scarpe, soprabiti, di cuocere il grano che hai seminato, per venderlo o non venderlo, come vuoi tu; e anche se fai il meccanico, o il fonditore, o l'artista, vivi e lavora come vuoi tu, e non come ti ordinano."
Sulla strada delle mie letture ho incrociato davvero uno scrittore capace di dividere in due l'anima del lettore.
Ivan Grigor’evič torna, dopo vent'anni di prigionia russa e morto Stalin, nella sua città. Ovviamente tutto è cambiato: dei suoi cari nessuno è rimasto, la fidanzata di un tempo si è sposata con un altro, il cugino lo accoglie con imbarazzo. Ivan decide di cambiare città, trova lavoro come fabbro e vive a casa di una vedova che da lì a poco morirà. In tutto questo, in modo scarno, diretto e crudo ci racconta lo stalinismo, le delazioni, i campi di prigionia, la perdita sistematica e totale di libertà. Di qualsiasi genere.
"La non libertà trionfava incontrastata dall’Oceano Pacifico al Mar Nero. Essa era ovunque e in ogni cosa. E ovunque e in ogni cosa la libertà è stata uccisa.”
Le pagine dedicate alla collettivizzazione ucraina sono difficili da mandare giù. Ammetto di aver poi approfondito le letture e di aver colmato una mia grave lacuna.
Il modo in cui Grossmann racconta la morte di centinaia di persone per fame è straziante.
E' un libro potente e triste!
“Tutto ciò che è disumano è assurdo e inutile”.
...ContinuaIl ritorno del protagonista nella città natale dopo anni di detenzione, gli incontri e le riflessioni personali su cosa ha rappresentato il regime sovietico per la vita del paese, le riflessioni sulla schiavitù "storica" patita dai russi e su come questa condizione abbia avuto influenza sullo sviluppo politico e sociale del paese, sulla diffusione della dittatura e dei regimi oppressivi. Lo Stato come oppressore ma anche come difensore dell'uomo che viene consolato e "deresponsabilizzato" in nome di un ideale di libertà che viene inseguito ma mai raggiunto contribuendo così a perpetuare un sistema politico di controllo che si realizza attraverso la "non realizzazione".
...ContinuaOgni tanto bisogna leggere un autore russo. Ogni tanto bisogna immergersi in un pozzo nero di solitudine, dolore, dolore senza fine. Leggere dell'insopprimibile anelito alla libertà e della vittoria della violenza, immutabile, perenne. Come scrivono bene, questi russi, dell'animo umano, fino ai più sordidi confini, e senza autocompiacimento. Dopo però, non basta nemmeno un intero vasetto di nutella per sentirsi meglio.
...ContinuaLa libertà e la repressione sono i due argomenti principali di questo libro, che si è rivelato di una intensità, di una passione, di una emozionalità tale da commuovermi, da rendermi fiducioso nel futuro, ma anche di avermi disgustato in modo indescrivibile.
Libertà e repressione: due parole che più distanti non possono essere, eppure la storia dell'umanità ci ha raccontato che reprimendo si dava libertà (vedi qui la repressione dei kulaki o dei dissidenti del partito, per fini di "libertà", spacciata per vera libertà), assurdo!! Un po' come dire che l'acqua non sia fonte di vita...
Il protagonista (una sorta di alter-ego dello scrittore) reduce dei lager sovietici, da sempre sostenitore della libertà, vera e pura (senza se e senza ma), dopo decine di anni passate in prigionia, torna nella sua città natale e tra flashback, sogni e storie di vita vissuta, ci racconta cos'è stato e cosa ancora è il "sogno" rivoluzionario socialista sovietico, iniziato con Lenin, proseguito con Stalin, con ampi spunti di riflessione sociale-politica-filosofica.
Un capolavoro...
"Allora Ivan prese la parola nell'auditorio contro la dittatura: dichiarò che la libertà è un bene equivalente alla vita, che una sua limitazione mutila l'uomo come un colpo d'ascia che faccia saltar via dita e orecchie; abolire poi la libertà, equivaleva a un assassinio."
"Ivan Grigor'evic immaginò se stesso seduto in una poltrona della dacia mentre, sorseggiando del buon vinello, avrebbe cominciato a raccontare della gente scomparsa nel buio eterno. La sorte di alcuni di loro era d'una tristezza così lancinante che persino la più tenera, la più leggera ed affettuosa parola su di loro sarebbe stata come il ruvido contatto di rozze mani su un lacero cuore messo a nudo."
"Stupidello mio, che vita difficile avrai, con un cuore così sensibile, così vulnerabile."
"Quante cose aveva visto la Russia nei mille anni della sua storia. Negli anni sovietici poi, aveva veduto formidabili vittorie militari, grandiosi cantieri, nuove città, dighe che sbarravano il corso del Dnepr e della Volga, un canale che univa i mari, e possenti trattori, e grattacieli... Una cosa sola la Russia non aveva visto in mille anni: la libertà."
...Continua