E' stato il miracolo letterario di Cassola narratore e al tempo stesso segna anche, Paura e tristezza, la discesa inesorabile dello scrittore verso libri di consumo scritti dietro incredibili miraggi storici, ecologici o d'altro genere. Quest'Anna, di cui per cinquecento pagine si racconta una storia umilissima, vive di "paura" e di "tristezza", a differenza di numerose eroine di altri romanzi analoghi, le quali finiscono per non avere più né desideri , né rimpianti, né temono la solitudine. Questa ragazza, invece, ha appreso ogni giorno che, essendo nata bastarda, è costretta ad "aprire gli occhi" sulla vita. Tutto le appare insidioso e colpevole, dall'abbraccio fisico di un ragazzo al fanatismo erotico di un giovane contadino, che riesce a metterla incinta, nelle fasi di un duro lavoro campestre da lei compiuto presso una lontana parente. Di qui in poi la sua paura la cinge come una veste impermeabile, di cui va fiera, anche perché non invidia nessuno. Solo furtivamente guarda la natura, i piccoli miracoli della terra, felice se ai suoi sentimenti di gioia corrispondono quelli degli altri. La morte della madre, poi il richiamo indolente alla vita dei campi, la inducono ad un tentativo di suicidio. Ma la sua fuga dalla vita finisce con un banale sposalizio, e precocemente invecchiata, proprio nel luogo dove non avrebbe mai voluto vivere, rimpiange il tempo della sua adolescenza quando la sua paura era rotta dal bagliore i qualche piccolo sogno d'amore, un miracolo che non si ripeterà più. Si ripete, con lei, la sorte della madre; l'aver vissuto senza una speranza, trova ora una conferma nei fatti: lei andrà avanti, piena di figli, irretita e rassegnata a un tempo, per tutto il resto dei suoi anni. Cassola così ci propone un personaggio paradigmatico della propria idea della vita: idea tutto sommato crepuscolare. Con il suo fatalismo qua e là irrorato di gioia infantile, Anna potrebbe rappresentare anche l'incarnazione del destino. Forse L'A. ha ecceduto nel tracciare il "ciclo di una vita" dall'infanzia alla maturità; eppure non c'è dubbio che la prima e l'ultima parte del testo ci impongono una visione e insieme un sentimento della vita che la narrativa aveva cacciato da tempo ai margini, e poi ha continuato a rifiutare almeno in senso poetico.