Quando soffiò sul suo fuoco fatuo...

Il 5 novembre 1929 lo scrittore surrealista Jaques Rigaut si tolse la vita. "Fuoco fatuo", pubblicato nel'31 è il ricordo, la testimonianza, di quella tragica fine. Il protagonista del romanzo è Alain, trentenne dall'animo ormai stanco e sempre più passivo: in lui l'incapacità di relazionarsi con il mondo è il primo atto di altre nevrosi regressive che lo porteranno a non credere più nell'amore, a non riuscire ad imporsi nella vita a non fare progetti per il futuro perché per lui non esiste futuro. La droga di cui fa uso non è quindi il male maggiore ma una semplice conseguenza del vuoto cosmico del suo mondo. Vuote le parole e le premure degli altri, vuoti i luoghi come la clinica, il bar, i salotti bene e la città intera. Ogni cosa prende appunto le sembianze di un contenitore vuoto riempito semmai da esistenze molto simili alla sua ma forse ancora ignare dei loro mediocri meccanismi presenti e futuri o forse consapevoli ma incapaci di cambiare accettano il ruolo di ogni giorno che la vita gli ha assegnato. E' una sfilata degna dei migliori quadri di Hopper quella che descrive De La Rochelle: fantocci dai pensieri ridondanti dove comunque è l'apparenza che la fa da padrona...dame dalle gemme appese e le pellicce, la risata cannibalesca, il rossetto così rosso nella loro infelice simulata frustrazione.Tutti attaccati alla vita, in quel modo morboso che solo l'egoismo e la falsità tengono in piedi le impalcature esistenziali di quella sterile società . Drieu la Rochelle torna ad Alain, diventa qui l'osservatore implacabile degli ultimi suoi giorni:ancora giovane, con degli amici-pseudo conoscenti, con un amore impossibile d'amare perché Alain non ama niente e nessuno, nemmeno se stesso. La minima briciola di speranza di un sentimento concreto è forse Solange, una donna che forse gli dà un centimetro di luce in una coscienza spenta, in due parole una ragione per provare a continuare ma il suo rifiuto sarà la sua condanna ad una scelta inevitabile, il suicidio. Con uno stile descrittivo magistrale tra osservazioni quasi asettiche e parti di alta sensibile compassione, l'autore ci porta in altri sentieri stilistici fino ai dialoghi "plumbei" di Alain, un uomo ormai disfatto, dove i suoi passi nella metropoli vanno paralleli ai suoi pensieri, a ciò che vede e in qualche modo gli è ormai lontano anni luce, decidendo di non "cercare" in un luogo degradato e privo di valori "eroici" il nostro decide invece il gesto estremo, individuale e definitivo...l'unico gesto possibile per staccarsi dall'irreale quotidianità e per "sentire", finalmente, le cose, come quel cuore dilaniato da una pallottola o come quella vita che, se pur incognito sarà l'altrove, sente di averla e forse capirla ed amarla.
"Il suicidio è la risorsa degli uomini la cui capacità di reagire è stata corrosa dalla ruggine, la ruggine del quotidiano. Sono nati per l'azione, ma hanno ritardato l'azione; allora, l'azione si ritorce su di loro come un boomerang. Il suicidio è un atto, l'atto di coloro che non hanno saputo compierne altri." Nel gesto estremo quindi Drieu la Rochelle sostituisce e sente il puro sentimento che per una vita gli avevano nascosto o, chissà per quali motivi, non aveva incontrato. L'autore infatti scrivendo con grande spessore emotivo della morte gloriosa del suo amico Rigaut, ci porta nei meandri del suo credo, del suo interiore; La Rochelle è un uomo del suo tempo...di quelli che poi hanno sfiorato il mito per il loro ardire, per le loro posizioni politiche estreme e contraddittorie, per le loro gesta arrivate anche fino alla morte di propria mano come nel 1945, ha fatto lui. Ritroviamo lo stesso animo tormentato in Céline, Pound, Junger, Malraux, lo stesso ribellismo in Viani, Majakovskij, Modigliani, Sironi, Carrà, Mishima o Ugo Spirito, Malaparte o Jean Jenet. Tornando all'opera, un testo ritrovato postumo tra le carte di Drieu dal titolo "Addio a Gonzague" lo si può ritenere la chiave di lettura "segreta" che con poche pagine dallo stile diretto e impulsivo riesce anche a rendere più chiara la lettura di "Fuoco fatuo". Sono pagine di rara bellezza e intensità, dove l'assenza dell'amico Rigaut, nonostante il culto della "bella morte" appare sia nella sua realistica vicenda, sia con qualche velato rimpianto, la perdita di un caro amico. "Non avevi che da scegliere tra il fango e la morte. Morire è ciò che potevi fare di più bello, di più forte, di più". l'impressione meditata che può dare questo romanzo è innanzi tutto questo affresco di un epoca tormentata, dove i filosofi e la storia marcarono a fuoco soprattutto quella generazione dei primi anni del XIX secolo. Ma nel suo essere autenticamente fiera è la vita del protagonista, uomo in rivolta alla ricerca dell'humus eroico e autore del gesto estremo che lo riunirà alla sua essenza, alla sua vita e forse alla sua altra ipotetica epoca. Gli ingredienti della parabola politico/esistenziale di Drieu de La Rochelle furono un modello, un ideologia che dai filosofi del nulla arrivò fino alla fine degli anni'40 a figure intellettuali contraddittorie, slegate da ogni dogma e forse per questo prese di mira. Certo meriterebbero uno studio più adeguato al di là di scelte politiche o di vita che dovrebbero rimanere nella sfera privata di ogni individuo, il romanzo è tanto una dedica a un amico mancato quanto un spiarsi dello scrittore. Qui infatti, a mio avviso, le sue pagine più belle, che raggiungono livelli tanto ispirati tra un'eleganza magistrale e una freddezza così incisiva da rifiutare di essere salvato: nessun amore mendicante per lui, ma un avanzare lungo i viali di un suo collega, in un viaggio al termine della notte.

Jan 17, 2019, 8:54 PM
La Vita: (Dis)istruzioni per l'uso.

Alain, il protagonista di questa vicenda, ha deciso che l'unica altra soluzione rimastagli è la morte. Incapace di dare un senso alla propria esistenza, incapace di vivere assieme agli altri, ma solo con altri, incapace di amare e di essere amato, incapace di smettere di drogarsi, incapace di prendere delle decisioni, decide, alla fine di una lunga notte, che il suicidio è l'unica soluzione rimastagli prima di consumarsi.
Cadere.
Decadere.
«Non provo angosce. Sono in una angoscia perenne. »(pag.31)
Drieu La Rochelle ci racconta le ultime manciate di ore della vita di Alain con una calma asciutta, accompagnandolo in una carrellata di personaggi con i quali intrattiene rapporti vaghi, inconsistenti, sempre più convinto che l'abisso sia già presente, sia inevitabile «Con o senza droga, un essere che abbia una vera sensibilità si tiene sul limite fra la morte e la follia.»(pag.86). Espressione di un'epoca e di una generazione di europei abbandonati nella terra di mezzo fra le due guerre mondiali, §Fuoco fatuo§ quando uscì, nel 1931, doveva avere una forza che oggi, inevitabilmente, non ha più; di sicuro avrà impressionato i contemporanei, suscitando scandalo e indignazione (sicuramente ci sarà stato un Karl De Jouvanard* che l'avrà messo all'indice dei libri che corrompono le sane menti giovanili), ma oggi appare più, almeno a mio parere, come la lucida fotografia di un momento che possiamo sovrapporre al nostro presente, senza però che ci fornisca nessuna chiave interpretativa nuova. «I drogati sono i mistici di un'epoca materialistica che, non avendo più la forza di animare le cose e di sublimarle in simbolo, operano su di esse un procedimento inverso di riduzione e le consumano e le logorano fino a raggiungere in esse il nucleo di nulla.(pag.63)»

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* Karl August Jean-Baptiste De Jouvanard (Gothéneuf 1890 – Beville-sur-Stiânne 1945) politico e pensatore francese. Nato da umili origini rimase orfano molto piccolo. Fu adottato dal Conte Félix Moustache De Jouvanard giusto un anno prima che il nobile perdesse tutte le sue fortune al gioco d'azzardo. Tuttavia il piccolo Karl ricevette un'educazione classica e religiosa nel monastero di Saint Clémmarcioux presso i frati fistofolescenti. Affascinato dalle divise e dalle armi, De Jouvanard abbandonò la carriera ecclesiastica alla quale sembrava destinato a favore della politica e della Gendarmerie. Iniziò a scrivere pamphlet e piccoli drammi di ambientazione militare dal tono molto patriottico, sciovinista e conservatorista riscuotendo un modesto successo. Nel 1913 si presentò alle elezioni con un suo partito, I Cavalieri della Croce Scudata di San Pomizio con un programma estremamente reazionario e basato su un cattolicesimo ottuso e chiuso ad ogni aspetto secolare. Nel 1914, allo scoppio della Grande Guerra, partì volontario, ma sfortunatamente non restò ucciso al fronte. La perdita di una gamba lo rispedì a casa dove riprese, con maggiore vigore, la sua opera di pensatore e politico. Negli anni '20 e '30 fu uno dei punti di riferimento del conservatorismo francese più intransigente . Dalle pagine del suo quotidiano “Le Petite Jouvanard” si scagliava contro tutto: i capelli troppo lunghi o troppo corti, le gonne e le scarpe coi tacchi, la pornografia e gli ebrei, i pneumatici e la droga, l'omosessualità e il pollo alla griglia, la Repubblica e la pasta dentifricia. Quando i tedeschi invasero la Francia, De Jouvanard divenne un collaborazionista e si trasferì a Vichy dove su messo a dirigere “Le Petite Adolf”, il giornale della gioventù francese. Fervente antisemita, fece deportare migliaia di persone nei campi di concentramento nazisti. Fu giustiziato nel maggio del 1945 da un gruppo di partigiani mentre cercava di fuggire in Spagna. Ultimamente il suo nome, caduto fortunatamente nel dimenticatoio, è stato ricordato perché un suo libro, “Confessioni di un pestatore di noci” è stato ritrovato nella collezione privata di Bin Laden assieme al mensile porno “Sotto il burqa, Abdul balla la turca”.


Apr 10, 2013, 3:21 PM
DDT
"il corpo di un tritone e l'anima di un folletto"

Quando il vizio non è che l’essenza del padre dei vizi, il vizio alla vita, la luce che promana dalla droga scolpisce i fantasmi che vi si aggirano, restituendoli a quanto nella vita non è solo vizio.
L’autodistruzione di Alain è chiara come la luce diffusa di una giornata dalle nubi uniformi e sottili, arieggiata e secca. Un’autodistruzione non equivocata da autolesionismo, non da trinità parafreudiane ‘giudice-imputato-avvocato’, o da penitenze espiatorie nei confronti della vita cui ci si è riconosciuti inadeguati e da cui ci si aspetti reintegrazione mediante il martirio. Nulla di tutto questo. Alain appartiene a quella specie di drogati che sono “i mistici di un’epoca materialistica che, non avendo più la forza di animare le cose e di sublimarle in simbolo, operano su di esse un procedimento inverso di riduzione e le consumano e le logorano fino a raggiungere in esse il nucleo del nulla”.
L’autodistruzione di Alain è schopenauerianamente fede nella vita; il suicidio, come e più di ogni atto, è un atto di fede. La sua volontà si è voluta ossessivamente nella ricerca della droga, e in essa placata e rinnovata con veemenza. Ma la droga è l’ultima delle maschere, è la cosa che annulla in sé la volontà delle cose, e così, restituisce la Volontà alla trasparenza della propria cecità, che separa il vivere dalla volontà di vivere con la gelida risolutezza di chi ha compreso e ne ha tratto le conseguenze.
Un libro che sarebbe doloroso, se non lavorasse oltre la barriera di nervi che organizza e irradia il dolore dentro la vita, per la vita, contro la vita. Perché questo libro è scritto oltre la vita, laddove la ribellione è quiete.

Nov 9, 2008, 1:03 PM