“ Set me free “...

… Tutto svanirà
Senza lasciar traccia.
Noi siamo della materia
Di cui son fatti i sogni
E la nostra piccola vita
E’ circondata da un sonno…

… 23 aprile 2016 ; data dell’anniversario dei quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare. Per ricordarlo, per ricordare il suo immenso genio senza il quale tutta quanta la letteratura che è venuta dopo avrebbe sicuramente avuto un diverso destino, numerose e importanti sono state le iniziative editoriali. Molti autori lo hanno ricordato attraverso una riscrittura, una personale reinterpretazione di una delle sue opere; Margaret Atwood ha raccolto la sfida scrivendo questo “ Seme di strega “. Avvicinarsi a Shakespeare non è certo semplice, non lo è mai, non lo è mai per nessun lettore, figuriamoci per uno scrittore. La Tempesta, come ha più volte affermato anche il regista britannico Peter Brook, la Tempesta è un enigma ed è anche l’ultima opera scritta interamente da Shakespeare prima della sua morte, una sorta di congedo definitivo dal teatro. E certamente la Atwood non ha fatto una scelta a cuor leggero come racconta qui di seguito, sapendo perfettamente quello a cui andava incontro, consapevole che si sarebbe dovuta confrontare con quella materia così impalpabile di cui tutto il dramma è finemente intessuto.

“La prima cosa che ho fatto è stato rileggere il testo , poi ho visionato tutti i film e i documenti legati al teatro e poi ho riletto la versione integrale. Poi sono venuti i consueti episodi di panico e caos mentale: Come ho potuto essere così folle da pensare di partecipare a questo progetto ? Perché ho scelto la Tempesta? E’ impossibile. (…) Calma, calma, mi sono detta di star calma. Ho letto ancora una volta il testo, questa volta partendo dalla fine. Le ultime tre parole che Prospero disse sono “ Rendimi libero “ . Libero da cosa? In cosa era imprigionato ? si chiede la Atwood. In inglese il suono di quella frase è ancor più bello : “ Let your indulgence set me free “ ed è la frase che chiude definitivamente l’opera di Shakespeare. Come resistere al fascino di queste tre parole “ set me free “ e non provare in qualche modo a costruirci intorno una storia capace di unire passato e presente, riportando le parole di Shakespeare dentro l’attualità del nostro tempo e farle risuonare ancora nel cuore di ogni uomo.

Forse è stato proprio quel profondo innamoramento che ogni buon lettore ben conosce a guidare la mente e quindi la mano di Margaret Atwood, l’innamoramento rende audaci e visionari, ma spesso anche incoscienti, inconsapevoli delle possibili insidie. L’attrazione per il sapore di quella umana vendetta ha un fascino troppo potente per essere ignorato, mentre fuori infuria la tempesta, provocata da quello spiritello indomito di Ariel, su volontà di Prospero. Lo si percepisce immediatamente quel mare appena iniziamo la lettura del dramma, lo sentiamo terribile e forte ribollirci fin dentro le viscere, così pronto ad uccidere e a disperdere con quei suoi cavalloni urlanti, ad annientare in un solo attimo l’umana esistenza mentre sembra domandarci, irridente, cosa mai sia quella che noi chiamiamo vita e di che materia sia fatta. Colpiti al cuore e nell’orgoglio, tentiamo di dare una risposta aggrappandoci a quelle minime, inconsistenti certezze che crediamo di avere, stringendoci saldamente a quei pochi sentimenti di cui siamo composti, a quelle immagini sbiadite di fotografie che chiamiamo a testimoniare del nostro vissuto, del nostro passaggio dentro questo convulso Universo che continua ad espandersi e che ci rende sempre più insignificanti ed irreali. Maledetto sia Copernico, mi verrebbe da dire come Pirandello, prima di lui l’uomo “ vestito da greco o da romano, vi faceva una così bella figura e così altamente sentiva dentro di sé e tanto si compiaceva della propria dignità, (…) Copernico ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza ”. Per fortuna arriva Felix a toglierci dall’imbarazzo di tentare una qualche risposta, un uomo di cinquant’anni, protagonista del libro della Atwood, reso un Prospero dalla vita, armato di tutto il rancore e la rabbia possibili che conosce perfettamente il significato delle parole per raccontare e spiegare cosa sia questa nostra vita, questo misto di “ sangue, sudore , sperma e lacrime “ ( usando le magnifiche parole di un grandissimo scrittore ). Questa commistione di fragilità e di forza, di amore e di odio, di abbandono e di morte, tutta questa nostra architettura di sogni e di speranze, di vette e di precipizi. Inizia a parlare raccontando la morte della sua giovane moglie a cui è seguita a distanza di poco anche la morte della figlia Miranda , di appena tre anni. Un uomo annientato dal dolore che parla da dentro lo spessore opprimente e insuperabile di quel dolore; un figlio non lo si può seppellire prima della propria stessa morte. Una luce prende lentamente forma da quella disperazione interiore, un sogno grandissimo inizia ad illuminarsi, finalmente lui riuscirà a portare in scena la sua Tempesta. “ Quella Tempesta sarebbe stata brillante, la cosa migliore che avesse fatto. Ne era stato ossessionato in modo malsano, ora se ne rende conto “. Una Tempesta per far vivere ancora la sua piccola Miranda, per tenerla ancora legata a sé. Viverla come la vive ogni notte in sogno e nella veglia, in quella veglia che spesso è un sonno. Adesso ha finalmente la possibilità di renderla “ reale “, di sentirla respirare, muoversi e camminare in quel suo sogno , sopra le tavole di legno di quel teatro, che mosse da parole sapienti, sapranno diventare un’isola. Perché anche di questo è fatta l’umana vita: di sogni. Quei sogni che ci rendono vivi , grazie a loro riusciamo ad essere a volte davvero grandi, potenti, forti, ostinati, coraggiosi. Disposti a sfidare l’impossibile, a mettercela tutta, a superare tutti i nostri limiti. Ma Felix viene malamente e volgarmente tradito da “ amici “ poco prima di riuscire a portare in scena la sua Tempesta. Ridotto in miseria, allontanato dal teatro, costretto a scomparire e a rendersi invisibile. Un uomo abbandonato da tutti, lasciato solo con il suo quotidiano dialogo con la disperazione e con la morte. La forza per sopravvivere gli sopraggiungerà proprio da quel dramma che stava per rappresentare; la vendetta sarà per Felix il solo nutrimento possibile, l’unico motivo che lo terrà in vita. Per vendicarsi dovrà mentire, nascondersi, trasformarsi nel signor Duke, fingendosi un altro per poter mettere perfettamente a punto il suo piano, degno di un Prospero, delle magie di un Prospero...

L’idea del romanzo è brillante, non mi aspettavo niente di meno dalla Atwood. Ritrovarmi tra le pagine della Tempesta è per me sempre grandissimo godimento, e questa riscrittura ha indubbiamente delle pagine di alto valore letterario, su questo non ci sono dubbi. L’idea di portare in un carcere la possibile realizzazione di questo dramma, mettere dei detenuti a confronto con le parole di Shakespeare è stata una sfida interessante, e un’idea niente male. Nel momento stesso in cui ogni carcerato riceve la sua parte da interpretare, viene inconsapevolmente costretto a confrontarsi con il senso , con il valore delle parole. Ogni singola parola illumina e sprigiona significati, apre spazi là dove nient’altro riuscirebbe a penetrare. Le parole in questo caso così indirette, che provengono da un libro del passato e dalla finzione letteraria, aiutano invece a tracciare una netta linea di demarcazione tra giusto e sbagliato, tra desiderio e sogno, tra libertà e detenzione. Sono specchi dentro cui ognuno di loro non sa di essere riflesso, e proprio per questo riescono a guardare, osservare, giudicare senza timore. Commentare e analizzare l’opera e i personaggi innesca interessanti reazioni nei detenuti. Cercare e creare nuove parole più vicine alla loro vita, al loro vissuto, li rende più forti e più consapevoli. Recitare li libera dal presente e dal passato, li rende semplicemente uomini, perché “ Shakespeare ha qualcosa da dire a ciascuno, perché i suoi spettatori erano tutti: ovvero chiunque, dall’alto al basso e ritorno “, perché il teatro è un potente strumento educativo, suggerisce l’autrice tra le righe, e Shakespeare un Maestro ineguagliabile, mi permetto umilmente di aggiungere. Questo allestimento della Tempesta all’interno di un carcere fa parte della vendetta maturata da Felix che diviene anche un inconsapevole riappropriarsi della sua propria vita, come ben si renderà conto chi leggerà questo libro. Con l’aiuto dei suoi amici carcerati-attori che si trasformano nei suoi coboldi, Felix diverrà finalmente Prospero, si incarnerà in lui, divenendone la voce recitante, con tutte le infinite e sottili sfumature proprie di quello straordinario personaggio shakespeariano. “ Tutta la natura è un fuoco: tutto si forma, tutto sboccia e poi sbiadisce. Siamo nuvole lente…” . Dalla vita del teatro al teatro della vita, per tornare nuovamente alla vita. Addio mia potente arte, let your indulgence set me free, sembra dirci Felix a chiusura del libro, al termine di quel suo cammino molto difficile , come lo è quello di ogni uomo destinato a camminare su questa Terra. Un libro che mi ha suscitato fortissime emozioni perché mi ha riportato intatti momenti molto importanti della mia vita, tanti dei miei sogni. Il libro in sé però non mi ha entusiasmato, non mi ha convinta proprio del tutto. Sarà perché è venuto subito dopo la lettura de “ Il racconto dell’ancella “ , libro che invece ho molto amato, ogni parola lì è chirurgica e assolutamente necessaria. Sarà forse e soprattutto che per me “ La Tempesta “ è quasi intoccabile, inavvicinabile. La sua voce sarà sempre più potente di qualsiasi altra che provi in qualche modo a raccontare sulla traccia delle sue parole. La Tempesta è essenzialmente Musica, “una musica celeste, questo incantesimo d’aria “ che inonda e ci sommerge, ci travolge. Trasuda da ogni poro della nostra pelle e ci lascia, noi poveri mortali, in sospensione sulla tragedia della vita, nel labirinto della nostra esistenza, nel suo enigma. Diciamo allora che quello della Atwood è stato un esperimento molto interessante, ma non del tutto riuscito. Ovviamente questo vale per me, e per me soltanto, per quello che io ho percepito e sentito, leggendo…

Nov 27, 2017, 5:08 PM

Seme di strega, figlio di malafemmina, che bella favola!
Il romanzo è, inutile dirlo, un omaggio alla Tempesta di Shakespeare che viene amplificata e riprodotta nella vita del regista teatrale della tempesta, Felix ovvero il signor Duke. Come Prospero, Felix (pure i nomi sono simili) è un mago dell'artificio teatrale. Come Prospero, Felix è stato tradito dal suo Antonio.Come Prospero Felix medita vendetta e per ottenerla si avvale della "magia" dando alla parola magia un senso più ampio. L'idea di ambientare il romanzo in una prigione, che poi sarebbe l'isola della tempesta nella tempesta, è molto bella anche perchè il romanzo è sì incentrato sulla vendetta ma soprattutto sulle prigioni. Nell'isola della Tempesta di Shakespeare ci sono infatti 9 prigioni. Le 9 porte delle prigioni vengono aperte una a una durante lo svolgimento del dramma fino alla nona porta, quella che tocca allo spettatore aprire. Nella realtà del romanzo l'ultima prigione è quella della mente e delle sue fantasie che intrappolano ricordi e ricordati. Il romanzo scorre come una favola. Ha una trama banale nella sua complessità. Cioè il livello di conoscenza di Shakespeare è altissimo, la descrizione del dramma e della scenografia interessantissima, la storia è però semplice e scorre come una favola a lieto fine con tutte le semplificazioni delle favole. E' molto liberatorio che il fulcro del romanzo che sembrerebbe essere la vendetta si sposti e diventi il perdono. Un perdono globale che coinvolge persino il pubblico nell'apertura della nona porta. Il romanzo non è realista, le situazioni non sono verosimili ma sono accattivanti.
E poi è molto bello vendicarsi e perdonare a pancia piena, cioè a vendetta riuscita, specie in periodo pre-natalizio.
Il mio personaggio preferito è certamente Ariel, lo spiritello compassionevole e misterioso che confonde realtà e sogni, schiavo ma desideroso della libertà e mai del tutto cattivo, anzi.

Nov 29, 2017, 10:51 AM
andrebbe messo in scena

Mi pento se qualche volta mi sono lamentata dell'eccessiva presenza in cartellone di testi shakespeariani. Sono sempre attuali e toccano le corde più profonde dei sentimenti umani. In una stagione teatrale deprimente come quella che sto seguendo, oscillante fra moralismo, spettacolarizzazione del dolore e comicità datata, vedrei volentieri un classico e questa versione della "Tempesta" della Atwood aiuta una lettura analitica.

Dec 31, 2017, 5:31 PM