finalmente un romanzo ambientato in epoca fascista scritto nel 1935! con tutti i limiti del caso - lessico datato intreccio un po' lento e risoluzione del caso molto prevedibile - che sia coevo alla storia rende benissimo l atmosfera di una Milano nebbiosa che nasconde in un appartamento del centro il cadavere di un banchiere. risultato che ormai non si ha nei romanzi contemporanei per la consuetudine di scegliere il ventennio come fondale...tutti uguali
godibile
Avrei voluto intitolare questo commento in un altro modo, ma poi avrei spoilerato troppo. Cosa forse non grave, visto che si tratta di un giallo scritto nel 1935, quindi non proprio freschissimo. E' stata una lettura divertente, che mi ha ricordato certi telefilm ancora in bianco e nero, certe indagini alla Nero Wolfe, che si svolgevano tutte in un ambiente, nel giro di poche ore e con l'assoluta predominanza dei dialoghi sull'azione. Mi hanno divertito le atmosfere degli anni '30, scritte nel periodo e quindi scevre da ogni giudizio sul regime politico di quegli anni, che era ovviamente la normalità. Mi hanno divertito anche i metodi di indagine e di interrogatorio, oggi poco ortodossi. A livello linguistico mi ha colpito l'uso che si faceva negli anni '30 dei pronomi allocutivi nei dialoghi. Ero convinto che il fascismo avesse imposto il "voi" da sempre. L'imposizione risale però al 1938. Prima "lei" e "voi" venivano usati indistintamente. Ma qui è chiaro che il "lei" si usava per persone dello stesso rango (ad esempio tra il commissario e il giudice o il conte) mentre il "voi" si usava verso i sottoposti (il commissario da del "voi" al brigadiere" e quest'ultimo da del "lei" al commissario). A quelli ancora più in basso (servitù) ci si rivolgeva direttamente con il "tu".