" Ricordo in eterno il viso di una donna che ho incrociato una volta soltanto, tengo a mente per anni emozioni e pensieri di una singola giornata. L’unica cosa che dimentico con facilità sono le formule matematiche, le trame e i contenuti dei libri e manuali letti nel tempo. Le persone, invece, le ricordo tutte quante, anche se la stragrande maggioranza di loro non ha avuto alcun ruolo nella mia esistenza “
E’ il protagonista del libro a parlare, costantemente assorto in considerazioni sulla vita e affascinato dalla vita degli altri, come se a questo suo sguardo verso gli altri in qualche modo lui avesse affidato la capacità di mantenerlo in equilibrio sul filo della sua stessa esistenza , sempre precaria e mai completamente appagante. Lavora di notte, perché di mestiere ha scelto di fare il tassista, il tassista di notte piuttosto che continuare a lavorare in fabbrica. E’ russo , emigrato a Parigi e non sorprenda la coincidenza con l’autore che, ugualmente russo, per un periodo della sua vita svolse anche lui il lavoro di tassista a Parigi: c’è molto Gazdanov in questo libro, molto dei suoi anni trascorsi in questa città. Parigi non è qui l’elegante e raffinata città degli anni Trenta che ameremo tanto ricordare, crocevia della cultura europea, è invece una città prevalentemente notturna sulla quale si allungano e si sovrappongono ombre di derelitti, persone senza più aspettative che si trascinano stancamente lungo la trama sfilacciata della propria esistenza, persone senza più sogni né desideri, spesso alcolizzate che tentano di lenire in qualche modo il proprio dolore , anestetizzare i propri ricordi e i propri fallimenti. La Parigi descritta non è quella degli Champs- Elysèes, Montmartre, Montparnasse….è la Parigi poverissima, di quartieri operai, di desolazione e miseria, di ubriaconi e di donne di strada, di rifiuti umani e di mendicanti, dove “ anche l’aria pare intrisa della miseria secolare, disperata, in cui hanno vissuto e sono morte generazioni e generazioni di persone con un’esistenza che per quotidiano squallore non ha paragoni possibili con i dintorni di boulevard de Sèbastopol, dove da secoli incombe un fetore di marcio che impregna anche le case “. Leggendo il libro mi è tornata immediatamente alla memoria una brevissima poesia che mi colpì molto quando la lessi per la prima volta, una poesia di Manuel Vàzquez Montalbàn che in qualche modo restituisce perfettamente l’atmosfera di questo romanzo , il colore di quella strada impervia e anonima di un esule in un paese straniero che improvvisamente si rammenti della sua patria natia, che qui è la Russia. Mai dimenticata , sempre presente sul fondo della memoria, struggente e bellissima, piena di quelle parole comprensibili e familiari, di affetti e di sogni, di desideri ancora ipotizzabili, resa ancor più bella e irraggiungibile dalla nostalgia: campi e giardini d’estate al chiaro di luna, l’odore dei fiori e del fieno falciato, il candore bluastro della neve che tintinnava come vetro…quel mondo di fine Ottocento, inizi Novecento andato completamente perduto, ma che la memoria non è disposta a dimenticare, perché in quella memoria ci sono le radici della propria vita, il colore dei propri sogni, la forza dei propri affetti.
Città di alvei di sangue di piombo
e taxi incagliati dai ratti d’acqua
esperte trombe in giudizi di colpe
e davanti l’orrore della città sommersa
ritorni lo straniero alla sua patria propizia,
la memoria.
- Manuel Vazquez Montalbàn -
Gazdanov lasciò la Russia nel 1920 durante la guerra civile, così come fece anche Nabokov nel medesimo periodo che però scelse la Gran Bretagna piuttosto che la Francia. Credo che l’essere stato costretto ad abbandonare il proprio paese abbia creato in lui quel mortal strappo in cui poi ha abbondantemente affondato ed intinto la sua penna per scrivere questo bel romanzo. C’è sempre nel libro questa sensazione di impotenza e di calamità, questa profonda rassegnazione a lasciarsi vivere e condividere la propria disperazione solo con chi la disperazione la conosce realmente perché la vive e la incarna ogni giorno, ogni notte, cercando a tentoni, nel buio , la forza per andare avanti ancora un po’, ancora un altro giorno. La luce disperante di quegli sguardi, la voce familiare della loro solitudine hanno un effetto consolatorio, ma non solo. Inconsapevolmente sono umani, arrivano a toccare il cuore e la mente del protagonista-scrittore, a illuminare quelle notti squallide e prive di vita, quel lavoro unicamente svolto per non morir di fame , di solitudine e di inedia. Quel popolo notturno privo di freni e di inibizioni, quelle strane creature che animano i bassifondi della città, quei bordelli e quei locali notturni infimi , quelle caffetterie sordide in cui attendono l’alba prima di essere nuovamente ingoiati dall’indifferenza delle strade della città, sono il suo alter-ego, sono le possibili protuberanze cancerose di se stesso. “ Carogne umane ambulanti “ , sono lo specchio rovesciato dell’umanità, guaste o guastate dentro, con le loro melodie mute, con quel piccolo scarto di prospettiva urbana che fa di loro dei derelitti, degli oppressi mentre la casualità infinita continua a giocare a scacchi con il caso, e il tassista-scrittore ad incontrare sulla sua strada quello che la sorte ogni giorno ha scelto per lui. E lui per un attimo e ogni notte vive le vite degli altri, è con loro su quel filo teso sul baratro. Spettatore di un mondo spesso assurdo, testimone di epiloghi spesso tragici, impara la vita, guardandola da diverse prospettive, partendo dal basso, da quella luce obliqua e un po’ sfuocata che illumina quelle strade che lui percorre nella notte. E ci invita a guardare insieme a lui, perché la vita è spesso obliqua e la luce un po’ troppo sfuocata.
“ Non mi è mai riuscito di salvare qualcuno, di trattenerlo sull’orlo del vuoto mortale di cui tante volte avevo percepito la vicinanza – gelida. Per questo ogni giorno che mi sveglio salto giù dal letto e comincio a far ginnastica. Ancora oggi però, quando resto solo e non ho ne un libro che mi difenda, né una donna con cui parlare, né fogli di carta liscia su cui scrivere, sento sempre accanto a me, senza bisogno di voltarmi e di muovere un muscolo, lo spettro della morte – irreversibile – altrui.
Sorprendente capolavoro che suggerisco a tutti.
Non Modiano, non Proust, ma un romanzo russo del Novecento (e dunque, assoluto, morale, anche violento), ambientato nella Parigi dei bassofondi o del demi monde degli anni '30.
Il tassista protagonista , costretto a sbarcare il lunario adattandosi a un lavoro ben al di sotto delle sue potenzialità intellettuali, profugo, reduce dalla guerra civile russa degli anni '20, è un personaggio anche inquietante, nella sua durezza: esibisce l'alterigia, l'ironia, il rigore etico di un cavaliere medievale, che non risparmia spietata lucida critica agli sbandati con cui si confronta nelle bettole e nei celebri locali della Parigi notturna, ma resta aperto alla comprensione e all'empatia con quelli che toccano realmente le profondità, gli abissi della nostra esistenza, ponendo le atroci domande alle quali è impossibile rispondere, se non con solidale coinvolgimento, sempre distillato liberandolo da qualsiasi zavorra sentimentale.
Scrittura ipnotica, notturna, ammaliante.
Tra i capolavori del Novecento, senza dubbio: grande riproposta editoriale.
"Se avevo detto addio alla fabbrica non era per il troppo lavoro: ero sanissimo e non sapevo, o quasi, cosa fosse la stanchezza. Però non sopportavo di starmene rinchiuso in reparto, mi sentivo in gabbia e mi chiedevo come facessero gli altri a passare la vita, decine di anni, in quelle condizioni".
In questo romanzo autobiografico Gazdanov ci racconta uno scorcio della sua vita di tassista notturno a Parigi: parla poco di sé stesso (anche se qua e là emergono la sua insofferenza per quel lavoro non conforme al suo vero modo di essere e il disagio di vivere in terra straniera) lasciando invece spazio agli strambi personaggi che incontra mentre è in servizio. Clienti bizzarri capaci di sperperare in una sola notte trascorsa in giro per night club il guadagno di un intero anno, prostitute e alcolizzati sfilano sotto i nostri occhi sullo sfondo della Parigi notturna di metà '900, e non possiamo far altro che assistere impotenti alla loro rovina annunciata. Gazdanov, osservatore talora indifferente talora partecipe, diventa contro la sua volontà il confidente privilegiato di queste persone e condivide con loro un breve pezzo di strada, rendendoci partecipi come se fossimo anche noi lì, tra quelle strade che trasudano miseria anche e forse soprattutto dove il denaro non manca.
Mi è piaciuto in modo particolare il personaggio della Raldi, anziana ex-prostituta che aveva avuto Parigi ai suoi piedi all'inizio del secolo e che, pur ormai ridotta alla fame in una misera stanzetta, si riappropria di una certa tardiva dignità.