Difficile parlare di questo libro,che propriamente e’ più una piece teatrale che un romanzo. E’ composto solo da dialoghi al vetriolo,non esiste parte descrittiva se non poche righe dedicate all’aspetto fisico dei componenti della famiglia Edgeworth di cui Duncan e’ l’astioso,feroce,tirannico capofamiglia e della miriade di amici e conoscenti che ruotano intorno a loro e commentano ironici,sprezzanti,ipocriti quello che succede nella famiglia .
Ivy Compton Burnett deve avere avuto un’infanzia infelicissima se questa e’ la famiglia che ci presenta,dove mancano completamente affetto,solidarietà,dolcezza,umanità! Tanto che dopo una ventina di pagine pensai di abbandonarlo,ma impossibile ,perché mio malgrado,mi trovai invischiata in continui e spiazzanti colpi di scena che ribaltano le situazioni precedenti
Lo definirei un libro completamente anaffettivo o meglio che fa dell’anaffettivita ,dell’ipocrisia,della calunnia le leve portanti della societa’
Lo consiglio solo per motivi egoistici ( giusto per restare in tema) perché mi piacerebbe tanto sentire la vostra opinione,amici anobiani
Dissacrante spaccato di società del fine ottocento inglese. Dove ogni parola detta ed ogni sfumatura del comportamento sono studiati come se le relazioni (anche quelle interne alle mura domestiche, anzi, soprattutto quelle) fossero parte di un grande Risiko in cui si acquisiscono e si perdono armate e territori ad ogni istante della propria vita. Una società dove tutto è forma e perbenismo, in cui si ritiene che i sentimenti (fintamente) vengano esaltati quando non sono manifestati, in cui alla fine si può commettere anche i crimini più efferati (ovviamente per questioni di denaro ed eredità), basta che non si venga a sapere in giro.
La famiglia del protagonista (o meglio: dei protagonisti) si muove all’interno di una comunità fatta di una cerchia di “amicizie” contenuta che condivide lo stesso stile di vita e le stesse regole di comportamento sociale artefatto.
Ne esce un quadro glaciale, dipinto con ottima mano. Il 90% del romanzo sono dialoghi che volano come stilettate di sciabola, di fioretto oppure di spada ed in cui la parola d’ordine è “Non abbassare mai la guardia”. Le pagine scorrono velocissime (io l’ho letto in una decina di ore, secondo me ben spese) come un treno che parte piano, poi deraglia ad una curva ed inesorabilmente arriva a valle precipitando lungo il fianco del monte.
L’autrice descrive un mondo in cui è nata e ha trascorso la sua prima giovinezza e riesce a rendere tutta l’atmosfera greve che lo caratterizza, il finale non è conclusivo, ma ben congeniato. La storia sembra volerci portare in casa di questa famiglia e farci vivere per alcuni anni con loro (e quindi condividerne il clima asfittico), senza fornirci una morale oppure una parabola esistenziale. Il risultato è che dopo la fine della lettura si rischia persino di affezionarsi a qualcuno dei comprimari o provarne compassione per un’esistenza così artificiosa.
Una considerazione a latere: la famiglia descritta non è una aristocratica in senso stretto, ma piuttosto dell’alta borghesia. Ciascuno sembra non avere un accidente da fare nella vita se non stare a studiare le prossime mosse deal teatrino sociale in cui è immerso. Una società quindi che viveva sulle spalle dei ceti inferiori, ma che (anche grazie a questo) ha avuto il tempo e modo di elaborare il progresso che si è diffuso nel secolo XX°.