Un bel libro. Ogni passione politica, quando scaturisce da sentimenti autentici, veri, non da un calcolo o da mero interesse personale, è lodevole e degna di rispetto, qualunque ne sia lo sbocco finale. La storia di Pablo, suonatore di chitarra e operaio torinese poi trasferitosi a Roma, negli anni del fascismo, e del suo risveglio politico, della sua presa di coscienza che l'insoddisfazione in cui vive è una questione politica più che personale, è bella proprio perché si sente battere una passione forte e sincera; può essere che Pavese cercasse, scrivendo queste pagine, di dimostrare a qualcuno la saldezza della propria ideologia, ma questo mi interessa poco. In fondo - e mi vengono in mente le pagine de "La peste" di Camus- credere in una grande causa comune a tutta l'umanità, come è il socialismo, è il modo migliore per sottrarsi alla morsa della disperazione, per non cedere alla distruttiva mancanza di senso di ogni cosa. Quanto all'aspetto più direttamente stilistico, come ho già avuto modo di scrivere, non mi trovo in consonanza con la scrittura un po' ellittica di Pavese, forse più simile alla poesia che alla prosa, che preferisce alludere più che dichiarare, lasciare implicito a rendere esplicito. La grande sensibilità di questo scrittore per la condizione umana, comunque, traspare sempre, e lo rende uno di quelli che mi sono più cari, al di là della valutazione delle sue opere.
C'è molto del mondo pavesiano in questo romanzo "minore": il rapporto controverso con le donne (quelle che fanno struggere ma tengono i piedi in diverse staffe e quelle fedeli ma meno agognate), quello con la città e la fuga, quello fra lo svolgimento di un lavoro "sicuro", da uomo responsabile e l'attrazione per il mondo degli artisti (attori e musicisti, nel caso), ma soprattutto l'idea che la vita possa avere un senso se ci si occupa delle concrete vicende storiche ed economiche, in vista di un ideale (precisamente, quello della partecipazione, ben prima della guerra e della Resistenza, alle attività cospirative del PCI clandestino).
Sul piano più strettamente letterario, c'è l'applicazione della lezione hemingueiana della brevità e del sottinteso, che fa sì che, da lettore, ti pare di assistere a una conversazione fra membri di un gruppo che si scambiano battute e riferimenti cui tu non puoi accedere.
Non siamo dunque ai livelli della Luna e i falò o della Bella estate, ma è comunque gradevole (anche se la "conversione" dell'ignaro Pablo alla militanza comunista sembra più che altro una scelta avventurosa, quella che il prudente Pavese non seppe compiere). Interessante il piccolo richiamo, messo in bocca a un militante socialista, o anarchico, al fatto che l'Unione Sovietica fosse (nel 1935) una "immensa prigione", denuncia che Pablo trascura in nome della "vittoria del proletariato": rappresentazione corretta delle questioni in cui dovevano dibattersi i militanti di sinistra di quegli anni (e del dopoguerra).
Tre stelle e mezzo
Ci sono poche certezze nella vita: le tasse, la morte, le mie quattro stelle di valutazione ad ogni libro di Pavese.
Il romanzo si può dividere in due parti: la prima, ambientata in una fredda e nebbiosa Torino; la seconda, in una Roma fresca, arieggiata e piena di vitalità. Il protagonista è Pablo, un ragazzo inquieto, curioso, smanioso di conoscere la vita vera. Si innamora di Linda, la ex fidanzata del suo migliore amico. Con lei nasce una relazione complicata, fatta di alti e bassi, ma nonostante ciò tra di loro sboccia un amore vero, tangibile, pieno di imperfezioni che danno spessore al sentimento. Quando l’irrequietezza raggiunge il suo apice, Pablo capisce che Torino gli sta stretta e decide di traferirsi a Roma. Qui trova finalmente un equilibrio, una sorta di pace interiore. A sconvolgere la nuova condizione raggiunta con difficoltà ci pensa la situazione sociopolitica degli anni antecedenti la Seconda Guerra Mondiale. La città pullula di squadristi e balilla, l’ideologia fascista cresce e si espande a macchia d’olio, si prospetta il peggio. Pablo decide quindi di unirsi ad un movimento antifascista e filomarxista, a cui dedica tempo ed energie.
Riuscirà a bilanciare lavoro, affetti e attività politica? E Linda?
Per quanto riguarda la trama mi fermo qui, per lasciare ai futuri lettori il piacere di scoprire le sorti di Pablo e di tutti i personaggi che gravitano attorno a lui. Aggiungo qualche doverosa considerazione sul resto.
Come in ogni romanzo di Pavese, la capacità di introspezione e di analisi è eccellente. Le donne e l’amore, il fascismo e la resistenza, la solitudine e l’amicizia, sono tutti argomenti trattati con criticità e delicatezza, da cui scaturiscono un’infinità di riflessioni interessanti e profonde.
Gli ambienti in cui si svolge la storia sono descritti con grande precisione e accuratezza, con poche pennellate precise atte a creare un’atmosfera fortemente immersiva, sia nella parte torinese, sia in quella romana.
Insomma, sarò di parte, ma per me Pavese è uno scrittore di indiscusso spessore, che riesce sempre a catturarmi. Ennesimo romanzo che conferma e rafforza il mio giudizio.