Siamo nella colorata e ribelle Londra a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta e qui si segue la nascita e la crescita di una band di 4 giovani musicisti di diversa estrazione musicale e assemblati da un manager onesto e capace. Per quanto la band sia solo il frutto della fantasiosa penna di Mitchell, questa è perfettamente collocata nel contesto storico, infatti non mancano puntuali riferimenti agli stili di quegli anni, dai Mod ai Teddy Boys, né agli avvenimenti storici che muovevano l'opinione pubblica, come ad esempio la guerra in Vietnam; l'autore però non riporta i fatti facendoli piovere dall'alto come se descrivesse le pagine di un qualsiasi libro di storia, ma al contrario lo fa portando il lettore alle feste assieme alla band per fargli origliare le chiacchiere fra amici, più o meno allucinati, intenti a commentare i fatti di attualità.
Fiore all'occhiello del libro sono gli incontri della band con star della musica che non sanno ancora di essere tali come David Bowie, Janis Joplin, Leonard Cohen ecc.
Dal punto di vista della scorrevolezza della lettura, ammetto di aver faticato per la prima metà del libro perché non sono riuscita ad empatizzare da subito con i personaggi e ho trovato molto lente sia le chiacchierate alle feste che le meticolose descrizioni di tecnicismi musicali che non conosco. Tuttavia mi è piaciuto il modo in cui l'autore divide i capitoli, infatti ciascuno riporta il titolo di un brano musicale composto proprio dal musicista della band sul quale sarà focalizzata l'attenzione nelle pagine a seguire; i brani/capitoli sono poi raccolti in album per racchiudere le diverse fasi di crescita e maturità della band.
sempre un autore piacevolissimo, david mitchell; in quest'opera si discosta però dalla costruzione dei suoi bei libri precedenti (qua e là citati, in particolare per un personaggio di Utopia Avenue), con una storia molto più concreta (salvo una parentesi, verso la fine, in cui sembra di ritrovarsi in qualcosa di "magico": ma è solo un'allucinazione??). le (piacevolissime) vicende dei componenti di un gruppo rock degli anni Sessanta sono la scusa per raccontare a tutto tondo la swinging london, l'america hippie e la cultura di quei tempi. l'idea, bellissima per chi ha vissuto quel periodo ed ama quella musica, è la "partecipazione straordinaria" al romanzo, di una serie di guest stars, fondamentali per la ricostruzione del periodo e impegnati in quel che effettivamente fecero allora, nel quotidiano come nelle loro varie attività artistiche, per le quali non erano magari ancora diventati famosi. c'è qualche anacronismo qua e là, ma tutto mi sembra giustificatissimo. i loro occasionali rapporti con la band sono tra i momenti più sorprendenti e godibili del libro: certo conoscerne la storia rende il tutto assai più facile da apprezzare. si fa fatica a ricordarli tutti, ma si possono citare almeno, nella londra del 1966, john lennon, brian jones, un giovane e insicuro david bowie, syd barrett e, in america, Jerry garcia, mama cass, david crosby... una lettura eccellente soprattutto per chi ha vissuto o ama quell'epoca e quella musica.
«Non sono le canzoni a cambiare il mondo», osserva Jasper. «A cambiarlo è la gente. La gente approva le leggi, si ribella, sente la voce di Dio e agisce di conseguenza. La gente crea, uccide, fa bambini, fa le guerre.» Si accende una Marlboro. «Il che solleva un interrogativo: ‘Chi o cosa influenza le menti di chi cambia il mondo?’ La mia risposta è: ‘Idee e sensazioni’. Il che solleva un interrogativo: ‘Dove hanno origine idee e sensazioni?’ La mia risposta è: ‘Negli altri. Nel cuore e nella mente di ognuno. Nella stampa. Nelle arti. Nelle storie. E, ultime ma non meno importanti, nelle canzoni’. Canzoni. Canzoni che fluttuano nello spazio e nel tempo come soffioni. Chi lo sa dove si poseranno? O cosa porteranno?»