Me lo ha regalato mia moglie dopo avermi visto sfogliarlo due volte al supermercato, tra pile di copie di questo libro alte un metro e mezzo piazzate tra le uova pasquali di Masha e Orso e le riviste di cruciverba. Teneramente, avrà pensato lo volessi acquistare ma fossi reticente per ragioni economiche perché ormai siamo diventati poveri; ma anche se siamo diventati poveri non ci siamo ancora imbruttiti e finché la barca va e la nostra bandierà sventolerà le librerie della nostra casa saranno piene di gioielli di carta e di romanzacci; e così non ha voluto privarmi del piacere di leggere l'ultima novità editoriale di un autore italiano da poco scomparso e mi ha comprato Pape Satàn Aleppe, in culo ai soldi che non abbiamo.
Anche se In realtà io lo stavo sfogliando solo per aver conferma di un mio sospetto sull' inutilità di questa raccolta di bustine e interventi vari che Eco scrisse negli ultimi quindicianni ma di cui almeno due terzi erano gia' state pubblicate in altri volumi e il restante si poteva tranquillamente evitare di dare alle stampe. Insomma. non stavo pregustandone l'acquisto e la susseguente lettura in virtù della rivendicazione di proprietà del libro, ma ormai il dono era stato fatto e al caval donato non si guarda in bocca e leggere un libro di Eco non è comunque mai una tortura ed è quasi sempre almeno un po' formativo e utile.
Mi sono così reso conto per la prima volta di quanto Eco facesse parte della mia attività di lettore. Mi sono ricordato che Il nome della rosa è stato ad esempio uno dei primissimi romanzi che lessi all'età di dodici o tredicianni, anche se il mio romanzo preferito di Eco credo sia Il pendolo di Foucault, che lessi intorno ai vent'anni e poi ancora di recente. Ma soprattutto ho scoperto di essermi fatto una piccola cultura attraverso e per merito dei suoi scritti di saggistica, come il bellissimo Apocallitici e integrati, le Poetiche di Joyce, Il trattato di semiotica generale, il diario minimo, Lectur in fabula, piuttosto (inteso correttamente come "anziché" , perché è meglio "vezzeggiare" che adoperare il linguaggio a sproposito) .... degli altri suoi romanzi a mio avviso quasi illeggibili come Baudolino o L'isola del giorno prima.. (Un po' meglio La misteriosa fiamma della Regina Loana, che è più una strenna per bibliofili che un romanzo, o Il cimitero di Praga, che è una sorta di feulletton tutto sommato gradevole e ben strutturato) .
Malgrado non abbia avuto per me l'importanza formativa di Vattimo, per citare un altro professore celebre, ho sempre letto Umberto Eco. Anche quando non andavo volutamente a cercarlo e me lo ritrovavo, per cosi dire, davanti agli occhi. Leggendo le sue bustine, i suoi interventi, oltre che le opere sopra citate. E malgrado pure non sempre abbia condiviso le sue riflessioni, spesso le ho apprezzate e ancor più che per il contenuto per il tono ironico e seppur da intellettuale, mai saccente.
In questo volume sono contenuti articoli e appunti che variano dalla guerra al terrore operata da Bush negli anni duemila, alla malaeducazione della nostra società attuale.. A volte le ho trovate profondamente e piacevolmente argute, (come quando in treno replica a un vicino che gli sta elencando tutti i delitti cruenti e mediatici perpetuati negli ultimi anni citandogli delitti atroci attinti dalla mitologia greca storpiandone i nomi per farci capire quanto la violenza non sia da attribuire ai giorni nostri ma è sempre esistita, anche in forma peggiore). Altre volte invece, mi è parso quasi ingenuo, come quando in uno dei suoi ultimi interventi celebri (dove qui è parzialmente riportata la replica dell'autore a fine libro) auspicava alla nascita di una squadra di analisti del web assoldata dai quotidiani per difendersi e difendere il lettore dagli imbecilli che riempiono i siti di bufale, notizie false, offensive, superficiali e dannose a chi volesse approfondire un determinato argomento sul web rischiando di perdersi fra la giungla virtuale abitata dai suddetti imbecilli che dal bar e dalla strada si sono ormai trasferiti sul continente Web.
Ma come ho già accennato, a prescindere dalla ragione e dal buon senso o meno delle sue riflessioni (e quasi sempre ne avevano) la caratteristica piacevole di tutti i suoi scritti è nell'ironia con la quale sapeva rendere meno rigoroso e saccente il suo pensiero.
Provo un po' di vergogna ma non ho nessun problema ad ammettere di esser apparso più sentenzioso io in certi commenti rispetto ai pensieri espressi da lui, nonostante fosse decisamente più dotto e infinitamente più autorevole. E lo ritengo un gran pregio, perché io di natura non sono un sentenzioso ed Eco poteva anche permettersi di esserlo, in certi argomenti.
Insomma. Pape Satàn Aleppe è un libro dal titolo fastidiosamente estraneo al contenuto, il quale in gran parte è composto da materiale già edito altrove e in parte men che utile all'approfondimento e alla conoscenza di Eco. Ma resta una lettura piacevole, resta l'impressione forte che un altro pezzo di storia della cultura italiana con cui abbiamo avuto a che fare e che ci ha accompagnato più di quel che pensavamo se ne sia andato e non sappiamo chi lo potrà sostituire.
E poi resta l'Eco, si, delle cose che ci ha lasciato e di quello che forse abbiamo perso.
Amici, Anobiiani, compatrioti, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Umberto Eco, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di Umberto Eco.
L'avrei comprato anche fosse ancora vivo, non fosse altro che l'Espresso non lo compero più da sette otto anni (e nonostante gli articoli di Bocca e le Bustine si trovassero in rete, me ne sono sfuggite tante). Mi sfaticava recensirlo per mancanza di idee originali, di Eco o su Eco hanno scritto fior di opinionisti e colleghi a ben altri livelli.
Pensa e ponza forse ho trovato qualcosa.
Ci fu il primo e il secondo diario minimo, stesso nome, zibaldoni differenti; invece colla raccolta delle Bustine si possono fare comparazioni. Si triturano i file, (ho anche il cartaceo di entrambi, maliziosi!) si creano due database di parole e si va a vedere cosa ne esce.
La cosa è interessante. Circa 120000 parole entrambi, il secondo settemila di più.
29000 differenti (ovviamente non avendo un vero analizzatore di lessico, i verbi e i casi gonfiano) le parole semplici (le ferramenta del discorso) sono abbastanza, ma migliaia (alcune curiose) quelle usate una sola volta, indice della varietà della sua cultura ed interessi. Tra le più usate fra quelle estremamente generiche ci sono Ma, Come, Se e Perché oltre seimila volte totali, il che mostra che bustina o no, espresso o no, era il ben noto aristotelico-tomista che doveva stare attento a non argomentare analiticamente e consequenzialmente pure chiedendo un whisky. "Fisica" compare poco e quasi sempre appeso a "meta-". Un limite, certo, ma in un mondo di tuttologi un vanto. Ancora oggi non è lodato quando merita non solo per aver fatto un libro su come si fa una tesi di laurea, ma per averlo sottotitolato "le materie umanistiche".
E il resto? Allego i primi 40 sostantivi:
stato 206 252
parte 148 140
libro 118 140
tempo 137 118
mondo 102 132
storia 91 130
cose 91 106
vita 105 91
senso 109 65
giorno 90 74
persone 69 86
guerra 80 68
Libri 85 61
Internet 41 103
esempio 66 64
male 69 56
gente 60 64
pagine 64 54
idea 50 68
punto 71 46
scritto 70 46
Berlusconi 17 99
morte 50 65
Italia 60 54
televisione 52 58
problema 61 49
computer 55 55
casa 51 58
persona 52 56
politica 47 60
autore 65 41
paese 57 47
Giornali 59 45
momento 67 34
tempi 40 60
uomo 50 50
fronte 61 39
città 53 45
giorni 41 52
Opera 56 36
Forse una buona sintesi di Eco, che non stupisce.
Ma il primo è un verbo! Opina Simplicio. Sì ma mi è venuta la curiosità e (una parola alla volta si può fare) Stato, con la maiuscola, passa da quattro a quarantatré volte.
Segno che unito alla premessa della seconda raccolta dove condivide la "Società Liquida" come attrezzo per interpretare parecchi fenomeni postmoderni (parola che compare molto più nel primo che nel secondo motivando che il fenomeno verrà riassorbito e si esaurirà), riportare la centralità del ruolo dello Stato come uno degli opportuni vascelli, quando non terreferme, colle quali contrastare il liquidissimo "mar delle blatte", bèh mi pare un bel segno condivisibile della sua perspicacia.
Chissà se se ne è reso conto.
Così come non aver mai trascurato Mr. B. ma senza farsene mai una ossessione, del resto è noto che Mr. B per Eco era una conseguenza più che una fonte. Questo di certo fu voluto. Così come è voluta la scarsità del "corpo". Eco era più Monaco che Greco. Un Greco-Romano se ne accorge.
Per il resto il solito (per lui) buon livello di chiose, problematizzazioni, umorismo, qualche bustina eccellente, di quelle paginette che spesso un Blair o un Obama pagano 100.000 € in forma di consulenza, che ne so, per un punto di vista esperto; penso alle bustine che si occupano della scuola. Cannonate o ragionevoli soluzioni.
Triste che la destra compradora non se le sia filate di pezza, molto peggio che non abbiano causato suicidi e faide in quella sinistra che a chiacchiere s'interessa assai, ma a suo modo.
Cosa notevolissima Eco conosceva non solo i limiti orizzontali della sua cultura, ma pure quelli verticali: sapeva benissimo che negli ultimi decenni si stava letteralmente rottamando una quantità di pezzi che si credevano da trentacinque secoli parte non solo della cultura, ma pure della natura umana. Però avere i fondamentali sulla punta delle dita è ancora un fattore vincente: in una bustina stigmatizza l'evoluzione della radio lamentando che ogni dieci km di deve cambiar stazione quando - che tenero - l'RDS era standard da dieci anni.
Ma alla fine l'articolo è sostanzialmente corretto. Ecco a cosa servono i fondamentali: ad orientarti in condizioni di incertezza, quando sbagli torni prima o poi sulla strada giusta.
Insomma, se lo leggete vi renderete conto che anche quando non siete d'accordo - accade - quasi sempre però almeno vi ha portato senza fatica al fulcro della questione. Fulcro che spesso è, indipendentemente dal fatto che la vostra opinione coincida.
Quanto ve lo abbiamo invidiato, Eco. Del resto aver lasciato un bel po' della cultura popolare a Starace più che a Gentile, e poi a fenomeni quando non veline e calciatori sputtanando la destra per un secolo, si paga.
Però noi vecchi reazionari snob ora siamo privi di un consulente non organico, voi rimanete con Fabio Fazio Michele Serra ed euGenio Scalfari, coll'amichevole partecipazione di fabiovolo come metrapensè!
Auguri!
Ci mancherai Professore, se non altro eri spesso "il decimo uomo" l'ipcha mistabra.
Quello che ci deve essere sempre.
Ti rileggeremo spesso, i buoni libri non muoiono.
PS: Poi due refusi, Dashiell Hammett si scrive con con due T. e l'Interlandi dovrebbe essere TeLesio, non TeResio.
Inoltre Microsoft Jesuit-Excel CIA Edition mi segnala che le bustine: "Che vergogna, non abbiamo nemici!" e "Ma ne abbiamo inventate davvero tante?" si trovano in entrambe le raccolte.
Gomblotto dei Savi di Sion?
Messaggio segreto?
Si legge tutta d'un fiato, nonostante il considerevole volume, quest'antologia di Bustine di Minerva scritte da Umberto Eco nell'ultimo quindicennio; sarebbe dovuta uscire in primavera, ma la casa editrice ha deciso di mandarla in libreria subito dopo il funerale del grande studioso piemontese: gesto non elegantissimo, ma efficace dal punto di vista commerciale; e nel commercio, dopotutto, ai nostri giorni si fa ben di peggio. L'autore aveva sistemato i suoi testi in gruppi tematici: l'attenzione preponderante in questi anni è stata data, oltre che alla politica, al diffondersi dell'influsso della rete nella vita quotidiana, alla maleducazione diffusa nell'odierna società, all'illusione che la società stessa sia più pericolosa e insicura di quelle d'un tempo, al sempreverde vigoreggiare delle varie teorie del complotto; qua e là, tuttavia, si leggono ancora pezzi di contenuto più aereo e squisitamente letterario. Ciò che ho sempre apprezzato in Eco è la capacità di parlare all'uomo comune anche di argomenti complessi: nelle pieghe di questi brani si trovano frammenti di semiotica, di linguistica, di riflessione storica e politica ridotti a contorni semplici e comprensibili a chicchessia, ravvivati da una scrittura leggera e speziati con un pungente buonsenso da vecchio studioso. Quest'ironia sommessa benché amara in anni recenti attirò strali contro Eco da parte dagl'infatuati dei cosiddetti social network: le bassaridi di Facebook, le baccanti di Twitter, i turiferarî dell'iperconnessione, l'intera turba dei fissati, degli sventati e dei grafomani che inondano fori e siti con colluvie di ciarle da pianerottolo e contumelie da vicolo, adontandosi poi appena si faccia osservare loro l'inopportunità e l'inurbanità di codesto starnazzio, e ribattendo che in democrazia tutti hanno diritto di parola; e se è vero che contra factum non valet argumentum, mai accadimento, forse, come il blaterare perdurante contro Eco, rinfocolatosi anzi davanti alla bara dello studioso, attesta che il Nostro a ridere sconfortato di fronte a tale insensatezza internettiana era proprio nel giusto. Faceva ridere inoltre, qualche giorno fa, leggere (sempre in rete) serque di commenti sussiegosi sul valore degli scritti echiani, per poi accorgersi quasi subito che in realtà gli aristarchi da tastiera conoscevano, di Eco, tutt'al più Il nome della rosa, e forse anch’esso per sentito dire; ignoravano non dico l'autore di scritti semiotici, ma perfino il giornalista, il quale dopotutto scriveva su d’un settimanale diffuso anche nei più modesti chioschi di giornali. Di fronte a questo ciangottare di dottori da commedia l’ironia del vecchio studioso era appunto benvenuta: e qui la possiamo ancora gustare, diretta contro di loro e contro tante piccinerie dell’Italia dei nostri giorni. Non è certo fra i libri più importanti di Eco, ma in compenso è molto saporito e rinfrescante.