Ecco una figura stranissima e stimolante di “intellettuale” (non mi piace questo termine, e penso che non piacerebbe neppure a lui!) , o meglio di traduttore, critico e soprattutto scopritore di talenti letterari. Lui fu così il primo ad investire energie per la rivelazione di Svevo,o per far pubblicare Kafka e Joyce. Ha avuto una vita pienissima di esperienze , di passioni, anche di afflizioni , ma ricca di frequentazioni letterarie , amico di Saba, Quarantotti Gambini, di Montale (ed ecco spiegato da dove venivano Gerti e Ljuba!!!!), di Elsa Morante e di tantissimi altri scrittori e giornalisti dell’epoca. Fu collaboratore di case editrici, come Einaudi per esempio, ma fu soprattutto cofondatore della pregiatissima editrice Adelphi . Cristina Battocletti ricostruisce con numerosi materiali la biografia di quest’uomo dalla cultura vastissima, geniale ed eclettico, amato ed odiato; e analizza sullo sfondo della storia del Novecento l’influenza che Trieste, sua città natale, ha avuto su di lui ma anche sulla cultura letteraria dell’epoca!

Oct 3, 2018, 11:42 AM

Bobi Bazlen aveva la rara qualità di intuire quali erano i grandi libri senza i quali l'umanità sarebbe stata un po’ più sola; è stato un vero intellettuale, che nel dopoguerra ha contribuito a smuovere le sabbie mobili in cui si era affossata la cultura italiana sotto il fascismo, facendo fiorire un nuovo corso. Ha saputo fiutare il talento degli altri e farlo correre. Era un facilitatore: reggeva il sellìno della bici, per dare propulsione. Ma, quando l'allievo prendeva l'abbrivio, Bazlen lasciava la pista, girava le spalle e si metteva le mani in tasca, riprendendo la propria strada con la consueta andatura curva. Perché gli veniva spontaneo: era uno di quegli animali superiori che inizialmente conducono il branco ma poi non riescono a sostenere la responsabilità della sua guida. Vogliono imprimere una forza, ma per incostanza o insicurezza si stancano degli effetti e lasciano che il destino faccia il suo corso.

“Era semplicemente un uomo a cui piaceva vivere negli interstizi della cultura e della storia, esercitando il suo influsso su quanti potevano comprenderlo, ma rifiutando sempre di apparire alla ribalta,” scrisse di lui Montale nel ricordo che tracciò sul “Corriere della Sera”.

Il genio a volte per maturare ha bisogno delle maglie strette delle difficoltà, e così è stato per Bobi. Trieste con le sue tensioni fece da catalizzatore al suo vero carisma: l'abilità di intuire, anticipare e avviare al successo in Italia scrittori che avrebbero fissato nella pagina, per la prima volta, gli aspetti più sordidi, insopportabili e misterici dell'uomo del Novecento. Forse Bobi, che era pieno di inquietudini e paure, in un'altra città, più placida e meno tormentata, si sarebbe riparato in un'esistenza a bassa intensità, senza poter dare piena espressione alla sua eccezionale intelligenza.
Quando nacque Bobi, a Trieste si viveva un'atmosfera da incubo: ogni giorno si sentiva qualche pietra dell'impero asburgico rotolare a terra. Tutti avvertivano che stava per arrivare il sisma, che il palazzo stava per accasciarsi, ma l'Austria si limitava a sopravvivere. Mentre italiani, sloveni e tedeschi erano impegnati a ignorarsi e detestarsi a vicenda, arrivava la guerra a decapitare intere generazioni, privando le famiglie di padri, figli, fratelli. Le trincee erano a un soffio, e chi si trovava nei bei caffè triestini non poteva non provare disagio sapendo che a pochi metri si moriva di baionetta. Liberata dall'oppressore, Roma si dimenticò subito di Trieste: i traffici commerciali andavano scemando, lasciando alla città l'involucro di una carrozza senza le ruote.
La disgregazione politica era lo sfondo di quella umana, che faceva di Trieste una fucina di geni precoci, morti ventenni per mano propria o sul fronte. Bazlen fu segnato indelebilmente dalla cappa del laboratorio dei conflitti, del Fortwursteln, l'attendismo nefasto ma elegante, del confine snobbato, in cui la mescolanza di genti era più presunta che reale.
Se non fosse nato a Trieste, Bazlen non avrebbe sentito l'urgenza di far scoppiare il caso Svevo, di far tradurre per la prima volta Franz Kafka e Robert Musil su cui Delio Cantimori e Norberto Bobbio avevano dato parere negativo all'Einaudi. Senza Trieste non avrebbe contaminato l'Italia con i fantasmi della Mitteleuropa, anche pungolando Montale e i redattori di “Solaria”. Non avrebbe scritto un romanzo, Il capitano di lungo corso, che molto ha delle teorie del goriziano Michelstaedter e di ossessione per il mare; non avrebbe generato e nutrito una delle più importanti case editrici del panorama internazionale, l'Adelphi. che rappresenta la traduzione del suo immenso sapere.
L'Adelphi popolò la cultura italiana di libri nuovi, esoterici, affiancando un respiro diverso a quello di impronta più politica dell'Einaudi. Magari tutto questo sarebbe arrivato lo stesso e tramite qualcun altro, ma più tardi e con modi diversi.
Al bando la politica, nella nuova realtà editoriale era benvenuto tutto ciò che metteva in dubbio le certezze e come tale implicava per la cultura della sinistra allora predominante il giudizio di “irrazionale e decadente”. Niente esercizi di stile, ma solo scritture generate da un'esperienza vissuta, oltre alla necessità di rinnovare l'Italia dal crocianesimo, con insito il paradosso che l'Adelphi ebbe origine nel salotto di Elena Croce, che fu nume tutelare della casa editrice.
Bobi tracciò la struttura della “Biblioteca Adelphi”, ma purtroppo tre anni dopo la fondazione si spense senza poter godere della bellezza della sua creatura.
Il nome deriva dal greco adélphoi che significa “fratelli, sodali”, per sottolineare la comunanza d'intenti tra i soci fondatori, l'amicizia come valore. Bazlen e Foà in prima fila; Roberto Calasso, introdotto da Bobi e suo delfino; Piero Bertolucci e Nino Cappelletti, portati da Giorgio Colli; Claudio Rugafiori, Alberto Zevi e, nella cerchia degli amici, Sergio Solmi.
La sua genialità era il fiuto editoriale finissimo, che però non raccolse mai stellette e galloni, anche per bizzarrìe caratteriali. L'aveva allenato lavorando nelle principali case editrici del tempo: Astrolabio, Bocca, Bompiani, Boringhieri, Cederna, Edizioni di Comunità, Einaudi, Frassinelli, Guanda, nei. E naturalmente Adelphi.
Stando sempre a contatto con narratori e poeti, fu tentato sicuramente dal demone della scrittura. Prima come ambizione, poi come modo per guadagnarsi da vivere nel cinema. Ma capì presto che non era la sua dimensione.
Anche quando scriveva, Bazlen non deviò mai dalla convinzione che un grande editor dovesse rimanere nascosto. Ma altro che silenzio. Il suo atto creativo fu rumorosissimo e oggi ancora parla sugli scaffali di librerie e biblioteche.
Le sue scoperte non sarebbero state possibili se non avesse frequentato le scuole tedesche triestine e se non avesse assorbito la vivacità di quell'eccezionale milieu di talenti, pittori, scrittori, psichiatri, psicoanalisti che si radunavano nei caffè della città. Non avrebbe incontrato, o lo avrebbe fatto più tardi, la psicoanalisi, che nacque a Vienna con Freud.

“Ha scoperto una nuova dimensione dell'uomo. E tutte le riserve che si possono fare sull'opera di Freud, e sono molte, non intaccano la sostanzialità definitiva di questa sua grande scoperta [...] Freud curvo sul microscopio, scopre i bacilli dell'anima. E scopre l'anima.”
La psicoanalisi trovò terreno fertile in quell'amatissimo salotto sul mare dell'impero asburgico, che avvertiva la stessa oppressione da finis mundi della capitale. I triestini abbracciarono quella scienza come un balsamo per sciogliere il male che incombeva su di loro.
Bazlen ricercò per tutta la vita nei libri questa atmosfera da incubo, cercò di far tradurre i sogni angosciosi della Mitteleuropa e le visioni mostruose di chi, fuori da quell'area geopolitica, aveva vissuto un'esperienza di prigionia.
Il suo attendismo nello scegliere una volta per tutte un amore, una città o un lavoro alla soglia dei trent'anni fu la molla per capire precocemente la potenza letteraria dei protagonisti inetti e perdenti di Kafka, Musil e Svevo.
E allora perché Bobi fuggì da Trieste? Perché aveva una madre oppressiva e soffocante, da cui il freudiano Weiss lo staccò a forza, proibendogli di rivederla per anni, perfino di andare al suo capezzale, pena il fallimento della terapia. Questa sua latitanza gli provocò un rovello che lo tormentò tutta la vita anche se la vera miccia del distacco dalla città furono le sue intromissioni, mai perdonate, nella vita sentimentale degli amici e soprattutto l'amore abortito con Linuccia Saba.
Bazlen naturalmente non aveva il potere di far scoppiare le coppie, semplicemente capiva in anticipo non solo le tendenze culturali, ma anche quelle affettive e sentimentali di chi aveva più a cuore. In più, da ragazzo, figlio unico e coccolatissimo, in una famiglia che aveva sempre accolto ogni sua esternazione come un oracolo, la sua tendenza a esprimersi senza filtri non era nemmeno mitigata dalla prudenza che si acquista negli anni. Anzi, amplificata dall'idealismo della gioventù, si manifestava in tutta la virulenza delle sue convinzioni. Era invadente, desideroso di imprimere una svolta che lui considerava giusta nelle esistenze di chi amava, ma a spingerlo era sempre l'affetto e mai il disinteresse cinico o la noia da combattere divertendosi a spargere zizzania tra la gente. Per chi lo ricorda a posteriori era sì una forma di controllo e quindi di potere sul prossimo, ma priva di un ritorno personale e di malignità, al contrario di ciò che pensavano molti dei coinvolti.
Di quella esperienza goffa e dolorosa fece tesoro, tanto che per se stesso, da giovane, si riservava l'epiteto di “carogna”, ovvero: ipercritico, piccino, chiuso all'Essere e alle sue Epifanie.
La vera poesia di Bobi dunque viveva nel giudizio dei libri: telegrafico, completamente informale nello stile e pertanto ancora più genuino, entusiastico o tranchant, privo di superflui intellettualismi.
La leggenda di chi lo ha conosciuto in maniera diretta e indiretta vuole che sia Bobi a chiamare le persone a occuparsi di lui, cambiandone la vita.
Bobi frequentava amici, intellettuali e non, che non mescolava mai. C'erano gli accoliti che attorniavano Bernhard, che però raramente si vedevano tra di loro se non nella villa di Bracciàno dello psicoanalista: Federico Fellini, Giorgio Manganelli, Cristina Campo, Vittorio De Seta, Adriano Olivetti. Natalia Ginzburg. E poi, a Roma, Nancy e Gino Marotta, Adriana Motti, Marcella Rinaldi, Aldo Palazzeschi, Libero De Libero, Enrico Falqui, Fabrizio Onofri, Giacomo Debenedetti, Elsa Morante, Sandro Penna, Alberto Savinio. Teneva molteplici rapporti epistolari che valevano come odièrne telefonate. Sapeva essere tagliente, snob, capace di schiacciare con un giudizio che non redimeva chi non stimava, senza attribuirgli alcuna qualità, perfino quelle evidenti. Era molto amato da chi beneficiava della sua attenzione, molto odiato da chi non era oggetto del suo rispetto, Pasolini e Moravia, ad esempio. O Carlo Levi, viziato dalla gelosia per lui, che era stato una persona importante per Linuccia: gli fece un ritratto con gli occhi asimmetrici e lo sguardo equivoco.
Stelio Crise lo definì un invidioso del talento altrui, non avendone di proprio, mentre Antonio Fonda Savio, genero di Svevo, ne parlò come di un “malato, fisicamente e moralmente un anormale, e quindi praticamente non responsabile di [...] stravaganze”. Lo stesso Claudio Magris, che non è riuscito a conoscerlo, ha nei suoi confronti una cauta ammirazione, trovando geniale l'espediente di essersi ritagliato addosso il ruolo dello scrittore che non scrive, ma con una diffidenza per “certa compiaciuta cattiveria” e preferendo il concittadino Stelio Crise, per lui “un Bobi Bazlen buono”.
Forse chi loha conosciuto e detestato si sentiva schiacciato dalla sua infallibile cultura, coperta a volte da sicumèra e sufficienza, e lo ripagava dello stesso dispetto. O forse il punto era che Bazlen a volte eccedeva in scetticismo o sicurezza nei suoi giudizi ed era desideroso di sbalordire il suo interlocutore. Forse chi non lo amava non capiva perché Bobi non gli rivolgesse l'attenzione, le premure, le cure e l'affetto di cui invece investiva le persone che attiravano la sua curiosità, con cui sapeva essere empatico, generoso, avvolgente, caritatevole, solidale.
Allora perché non gli è mai stato riconosciuto il fatto di essere una delle più importanti figure della cultura italiana del dopoguerra?
Perché non ha mai avuto un ruolo ufficiale nell'editoria o una pubblicazione che ne definisse la figura. Non ha assunto la direzione di una collana editoriale, o meglio ci ha provato, ma circostanze caratteriali, con l'Einaudi, o economiche, con i fratelli Bocca, hanno portato al fallimento gli esperimenti iniziati. Nel campo dell'editoriapsicoanalitica,all'Astrolabio, tenne nascostamente le redini lasciando la fama a Bernhard. Non pubblicò alcun romanzo d'impatto né un saggio critico con cui rivendicare, nero su bianco, la paternità delle tante fondamentali scoperte di cui fu senza dubbio l'autore.

May 21, 2018, 5:27 AM

Non ho capito, se lo avessi potuto conoscere, il mio concittadino Bobi Bazlen, mi sarebbe risultato simpatico o antipatico. Facile il secondo caso...

Dec 13, 2017, 7:51 PM