Questo libro su Sciascia è parecchio interessante, pur senza raggiungere la qualità sorprendentemente alta della biografia di Pirandello, che lo stesso autore, M. Collura, ha intitolato "Il gioco delle parti".
Ciò perché, a mio parere, sono state qui usate quasi esclusivamente fonti pubbliche, in quanto Sciascia non ha lasciato dietro di sé significativi scritti privati, appunti, diari. Tant'è che l'intera esistenza dello scrittore pare vissuta all'insegna della Ragione, usata come orientamento e forse come riparo. Fanno eccezione le testimonianze sugli ultimi giorni di vita : davanti allo spettro della morte, la ragione non vuole sentire ragioni.
Se l'aver intaccato la riservatezza di un'agonia ci mette a disagio, occorre però riconoscere che in tale modo ci viene restituita un'immagine umanissima dell'amato scrittore siciliano, di cui conosciamo essenzialmente il distacco, almeno apparente, che lo caratterizzava.
In fondo, "la scrittura non è che il trasferimento in letteratura di un modo di essere, di un modo di concepire e vivere la vita". E Sciascia poneva l'impegno civile fra le priorità. Anche per questo ammirava tanto Manzoni : "la scrittura come impegno morale", la profonda conoscenza della Storia, probabilmente il senso religioso non asservito al potere; dimensione, quella religiosa, che il letterato siciliano sempre visse in un ambito interiore e privato.
"I promessi sposi", sosteneva, è un libro che "contiene già tutto quanto noi conosciamo : la mafia, (...) l'ingiustizia, l'emigrazione..." .
La mafia, appunto. "Questo è un paese di mafia più di atteggiamenti che di fatti; benché i fatti (...) non si può dire che manchino" ; e confida : "quando denuncio la mafia, nello stesso tempo soffro poiché in me (...) continuano a essere presenti (...) i residui del sentire mafioso".
Con l'avanzare dell'età e per quanto vedeva intorno, Sciascia diventa sempre più pessimista : "vent'anni fa credevo possibile che il mondo potesse cambiare; oggi non più". Come notava Moravia, i racconti polizieschi del nostro Autore partono spesso dalla chiarezza, ma finiscono per inoltrarsi nel mistero.
In questo pessimismo, come già avvenne per G. Verga, si fa strada la pietà come valore insostituibile.
Negli ultimi scampoli di vita, emerge uno Scrittore che vuole dare un orientamento diverso alla sua produzione : voleva scrivere una storia che fosse un messaggio di speranza, "un atto estremo di ottimismo che dia senso alla sua vita e alla letteratura", dice il biografo. Raccoglieva documenti su una vicenda realmente accaduta nel '45 , in cui due uomini di opposta ideologia politica fanno prevalere il sentimento della solidarietà. Il libro non ci è giunto : non fece in tempo a scriverlo.
Un'interessante biografia di Sciascia, che parte dalla sua morte! E ci sta. Ne esce uno Sciascia "contro", in primo luogo contro il potere, i suoi abusi, le sue menzogne, il potere allora democristiano ma anche quello del PCI . E' l'antitaliano per eccellenza, se per "italiano" intendiamo il trasformismo, l'accomodamento, la corruttela, il familismo amorale, il clientelismo. In fondo cristiano, denuncia vigorosamente il clericalismo e l'invadenza della Chiesa cattolica che devia dalla sua missione. Raramente gli "uomini di religione" sono personaggi positivi: spesso l'autore si chiede se sotto la facciata, la persona creda veramente in Cristo. In tanti suoi scritti ipotizza anche che tanti siciliani, per cultura tradizionale, siano cattolici ma non veri cristiani, e c'è da pensare, per tutti noi, anche non siciliani.
Amaro, sconsolato, pessimista nelle sue analisi della politica e della società italiana, ormai "senza rimedio", Sciascia si definiva nonostante tutto ottimista.