Bioetica amatoriale

Personalmente, sul tema del fine vita, preferisco gli approcci più "duri", quelli fatti di logica e argomentazioni articolate.
Qui non se ne trovane molte, l'approccio è soprattutto emotivo, sentimentale e, come sempre in questi casi, anche ondivago e contraddittorio. Per dire, non viene colta la distinzione, cruciale in questi casi, tra descrizione e prescrizione e così, in un lungo passaggio dai toni quasi tecnofobi, si dice che nel supporto vitale dato dalle macchine ai malati ci sarebbe "qualcosa di malsano e inquietante": due aggettivi che trasudano soggettività e vaghezza (esiste un criterio oggettivo per definire cos'è "malsano"?) ma, quel che è peggio, rischiano di spalancare la porta a una normatività secondo cui cercare di sopravvivere anche in condizioni estreme sarebbe sbagliato e "innaturale", un rovesciamento del moralismo religioso che però a un'attenta occhiata si rivela anch'esso un moralismo.
Il punto, per me, non è se sia più o meno naturale o più o meno "malsano" cercare di sopravvivere anche nelle peggiori condizioni oppure darsi la morte precocemente, bensì se siamo disposti a riconoscere che sia l'individuo, il sofferente, l'arbitro ultimo nel disporre della propria vita. Se proprio dobbiamo trovare un "malsano" (ma personalmente non userei mai un termine così emotivo e soggettivo), questo risiede nella pretesa che la normatività rispetto a questioni così individuali come il fine vita risieda all'esterno del paziente, che questo esterno sia una presunta divinità, il potere pubblico, il corpo sociale, o chi si aggira ad affibbiare patenti di "malsanità".
La seconda metà del libro migliora nettamente. Viene affrontato senza timore e senza tabù il tema del suicidio anche in assenza di malattie invalidanti o terminali, senza condannarlo e mettendo in luce come il grosso problema attuale sia che il suicidio non sia (più) perseguito penalmente, ma lo sia invece l'aiuto allo stesso e come questa situazione vada a creare delle situazioni di stallo (e di sofferenze grandi, se non enormi) per chi si trova (a seguito di malattie o incidenti) impossibilitato a compiere il gesto estremo. Forse io, riguardo a tutto questo punto, avrei maggiormente insistito su come anche persone fisicamente sane si trovino comunque costrette, nel caso decidano (qualunque sia il motivo) di togliersi la vita, a ricorrere a gesti violenti, difficoltosi, rischiosi anche per l'incolumità altrui. Anche per questo il mio parere è che il suicidio assistito debba essere consentito per chiunque abbia una volontà sufficientemente forte di accedervi, a prescindere dalle sue condizioni fisiche.
Nel complesso il libro fatica a raggiungere la sufficienza. Il suo grosso difetto, oltre a quelli già indicati, è l'eccessivo accordo tra le due voci che fa sembrare il dialogo un monologo, e che rischia di trasformare in qualcosa di caricaturale le posizioni opposte a quelle degli autori (soprattutto quelle religiose), a cui viene qui dato uno spazio solo di seconda mano.

Jun 26, 2019, 6:40 PM

Un dialogo/confronto tra Claudio Volpe e Dacia Maraini che partendo dal tema del fine vita spazia tra molteplici temi di attualità, spunti giuridici e riflessioni etico-morali

Apr 5, 2019, 5:11 PM

Il diritto di morire edito da SEM editrice è un dialogo tra lo scrittore e giurista Claudio Volpe e Dacia Maraini è un dialogo appassionato e variegato sul tema del fine vita.

Riporto uno stralcio del testo che mi ha particolarmente colpito:

C.V.«Diritto di vivere significa diritto di poter vivere fino a quando si sente di volerlo e poterlo fare, fino a quando lo stare al mondo non ci privi della nostra dignità rendendoci schiavi della malattia e simili a oggetti inerti maltrattati dal mondo. Come fare allora per ripristinare la giusta distinzione tra i due concetti?
D.M.Non è semplice la questione. Che rapporti ci sono fra il diritto di vivere e il dovere di vivere? Chi è che stabilisce dove comincia e finisce il diritto di vivere, per diventare dovere di vivere? Penso che ancora una volta sia stata la Chiesa con la sua etica imposta dall’alto a stabilire, perlomeno da noi in Italia, che i doveri sono più importanti dei diritti e che il diritto di vivere in un regime totalitario si trasforma in dovere di vivere. Il che va bene finché la persona sta bene e si sveglia ogni mattino con il piacere di alzarsi e uscire. Ma se per una ragione o per un’altra che lei solo conosce e patisce, questa persona si sveglia con l’orrore di stare ancora in vita, se si sente nemica di sé stessa e del proprio corpo, se la sua voglia di andarsene è più forte di quella di restare, credo che abbia il diritto di decidere del suo destino. Di fronte a questa libertà laica la Chiesa si inalbera e ti dice che non sei padrone della tua vita né del tuo destino, né del tuo futuro, né del tuo corpo. Tu sei solo il portatore di un’anima chiusa dentro un corpo che non ti appartiene. Devi rendere conto a Dio e alla Chiesa di ogni attentato a questo corpo non tuo. Ecco dove nasce la separazione fra una legge basata sulla parola di un Dio assoluto e una legge che tiene conto della volontà del cittadino. La legge democratica dovrebbe contenere l’idea che il corpo appartiene a chi lo vive e può farne quello che vuole, purché non danneggi qualcun altro. La questione è sempre quella: è la legge divina sovraumana che decide per noi o siamo noi, nel nostro umile essere umani e cittadini, a decidere di noi secondo regole precise che tengono conto della comunità? Sempre lo stesso problema che sta dietro le tante dure battaglie della storia: le battaglie del femminismo, le battaglie per il voto, per la libertà di stampa, di pensiero, di movimento. Un’antica e sempre presente lotta per la libertà; e non la si combatte solo contro i totalitarismi religiosi ma anche contro le tirannie, gli statalismi prepotenti, le ideologie dominanti, le dittature economiche. Se lo Stato entra nella tua casa pretendendo di regolare, oltre alla tua vita sociale, anche le tue scelte familiari, le tue condotte private, il tuo spirito e la tua coscienza, i contrasti fra la libertà individuale e costrizione diventano immediatamente radicali e profondi. Ogni potere assoluto diventa dominante, si preoccupa di possedere e controllare due grandi eventi: la morte e la vita. La morte la decidono le leggi, i tribunali, le guerre, la polizia. La vita sta nel ventre delle donne. Da qui il controllo stretto sulla morale sessuale femminile, perché anche simbolicamente quel ventre diventa proprietà di uno Stato e di una Chiesa e viene depredato di ogni libertà. Ecco perché un laico, secondo me, dovrebbe difendere con le unghie e con i denti le sue libertà, fra cui c’è quella di darsi la morte se la vita gli è diventata insopportabile. Gli svizzeri non sono assassini. È un popolo che ha vissuto e scelto coraggiosamente la Riforma a suo tempo, e ogni ha un rapporto più complesso e libero con la morale pubblica che non pretende di controllare e dominare quella privata. Per questo permettono l’eutanasia, anche se strettamente controllata e regolata. Una persona può chiedere di essere aiutata a morire, ma deve dimostrare di volerlo veramente. Prima di accompagnarlo alla morte lo si tempesta di domande, si cerca di persuaderlo e non farlo […]».

Interessante anche la parte finale che riepiloga lo sviluppo normativo in materia e i casi più importanti di richiesta di eutanasia degli ultimi anni: da Eluana Englaro (1992) a Piergiorgio Welby (1997) a Fabiano Antoniani – noto a tutti come dj Fabo – (2014) al primo caso di morte assistita attraverso biotestamento ad opera di Patrizia Cocco (2018). La legge sul testamento biologico fu approvata il 14 Dicembre del 2017.

Jul 24, 2020, 7:42 PM