Innanzitutto, la prima cosa è che Il primo Dio è stato scritto nel 1922, su per giù, e pare scritto oggi. La scrittura di Carnevali non è che non è invecchiata di un giorno, o che è ancora freschissima o che, è proprio al di fuori del tempo. Fra cinquant'anni, sono sicuro, Il primo Dio sembrerà ancora appena scritto. A rendere ancora più sorprendente 'sta cosa è il fatto che, comunque, quella di Carnevali è una storia piuttosto autobiografica, che mette al centro, insieme a se stesso, anche la New York e la Chicago di inizio '900. In particolare, le condizioni ben al di sotto della povertà in cui vivevano gli immigrati italiani. Eppure, non sembra di leggere un romanzo storico. Questo perché - provando a ipotizzare - perché Carnevali opera su un piano diverso rispetto il racconto in sé degli eventi. Carnevali, cioè, fa un racconto espressionista del mondo che lo circonda e della sua vita. Tutto, cioè, viene filtrato e risputato fuori dall'Io, sempre più delirante, di Carnevali. In questo modo, è come se si creasse un tempo alternativo rispetto quello storico, un tempo-io che è astorico. La stessa narrazione più che procedere linearmente e conseguentemente, si compone di una specie di quadri, ordinati per carità cronologicamente, ma che possono essere letti quasi come delle schegge dell'io di Carnevali.
Ne Il primo Dio, Carnevali ci parla spesso della figura di Cristo, e dell'importanza del fatto che Cristo si definiva prima di tutto uomo, e soltanto successivamente gli affibbiarono l'etichetta di Dio. Il che è piuttosto particolare considerando il percorso di Carnevali, e del suo delirio. Infatti, sia per la malattia (encefalite) sia per la vita non proprio facile, ben oltre i bordi della miseria, Carnevali inizia ad avere delle gravi allucinazioni sensoriali, tanto che gli ultimi capitoli perdono quasi ogni aderenza alla realtà, ondeggiando fra l'onirico e l'ubriaco. Carnevali, cioè, è come se si fondesse con il mondo, perdendo i propri confini umani, diventando tutto e il contrario di tutto e "tutto e il contrario di tutto" contemporaneamente. Ovvero, come si definisce lui stesso, il Dio più umile e brutto, il più fallimentare. In una sorta di passione allucinata, Carnevali scivola oltre i pochi appigli della società, tanto che finirà nei sanatori, diventando un dio scemo e perduto: ovvero il primo dio, ovvero il primo uomo.
Ero stracurioso di leggere questo libro della collana "Strade Maestre" diretta da Valerio Valentini, proprio per questo non ho esitato ad acquistarlo alla fiera Plpl di Roma lo scorso dicembre. "Il primo Dio" è una storia intensa, malinconica e soprattutto così vera e vicina a noi da sembrare scritta ai giorni nostri. Carnevali in questa sorta di autifiction ci narra la sua storia, dal particolare rapporto con i suoi familiari dapprima in Italia e in seguito la fame, il degrado, la miseria più feroce conosciuta dopo essere emigrato negli Stati Uniti. Non mancano riferimenti alla sessualità, condita da una promiscuità che fa però emergere il lato poetico dell'autore. Che si sprigiona nell'ostinata volontà di lasciare un impronta e che lo ritrae come un grande autore maledetto italiano. Il suo citare spesso Gesù Cristo discernendolo dalla sfera divina per eccellenza, la necessità di amore e la malattia mentale gli conferiscono al contempo un'aura tutta benevola e beata. Mi duole fare il pignolo, ho trovato qualche piccolo refuso che in fase di editing sarebbe stato meglio rivedere con attenzione.