un giorno il sindaco v. ha la malaugurata idea di sgomberare quel serpentone del corviale, edificio-"mostro", concentrato di una quotidianità deforme, alla periferia di roma, e di trasferire provvisoriamente, in maniera precauzionale, i suoi 6000 abitanti in una tendopoli allestita a cinecittà. da questo epidodio scaturirà uno degli episodi di rivolta urbana più allucinanti che si ricordino: l'assalto e l'occupazione del centro commerciale di cinecittà2, con gli occupanti (massaie corvialine, coatti, compagni, freakkettoni, tamarri di quartiere, fattoni) che "si muovono meccanicamente, senza ritegno e senza meta, proprio come morti viventi" in una grottesca brama selvaggia di possesso che li deforma in maschere esaltate, drogate e ubriache, alla ricerca di una seppur momentanea forma di riscatto - assaltando i gamberoni della pescheria armati di spruzzatine di limone, tirandosi nelle loro nike nuove e nei vestiti di d&g e hugo boss, liberando per errore pesci tropicali e piranha nella stessa fontana, brindando a colpi di cabernet sauvignon e moet&chandon e depredando l'olio bollente delle friggitrici di mc. donald's per fronteggiare le cariche dei celerini che, alla fine, inevitabilmente, li disperdono o li arrestano.
ma questo episodio folle e scombinato è anche l'occasione per l'incontro, dopo anni di separazione, del duka e di gerardo, giornalista free-lance alla ricerca del pezzo capace di svoltare il suo destino di cronachista in balia di un capo di dieci anni più giovane di lui, fighetto e cocainomane. inizierà così una corsa contro il tempo dettata da un'urgenza che solo il finale potrà spiegare, in cui, sorretti da un buon catalogo di droghe, i due inizieranno a rievocare decenni di movimento romano e non- dalla curva romanista allo stadio al punk, da tulum ad amsterdam, dalla new wave agli scontri di piazza, dalle feste alle posse, dalla pantera a quella genova che ha cambiato tutti quelli che c'erano - in una girandola colorata e psichedelica di episodi pazzeschi di amori droghe e politica, in cui il duka diviene memoria storica di se stesso e di trent'anni di underground - e mentre racconta di se' racconta di tutti quelli che la vita ha illuso di poter salvare con la politica, con un bacio che sembra eterno sotto le casse di una festa, con un trip salito bene, con la forza di vedere tanti fratelli perdersi, partire o andarsene così, in un attimo, mentre ancora attorno la storia correva - e in un unico contenitore gigante si mischiavano politica affetti e droghe così strettamente assemblati in un caos primordiale da appiccicarsi addosso per sempre come su pelle sudata in questi giorni di afa e caldo torrido.

Jun 27, 2008, 11:23 AM
WM5 su Roma KO

Il sindaco V. vuole sgomberare i seimila abitanti di Corviale, che ha subito danni strutturali, in una tendopoli a Cinecittà, proprio di fianco a un grande centro commerciale.
Non è il migliore dei piani. Scoppia la rivolta, come c'era da aspettarsi. Black Bloc e donne velate, hippoppettari e massaie corvialine, riot grrrls fuori tempo massimo, rasta, coatti di quartiere, compagni. Partono cinque giorni deliranti.
Ricordo la frustrazione adolescenziale dello specchiarsi nelle vetrine e vedere che non si è vestiti nel modo giusto, che non lo si può essere. Infiniti episodi di violenza urbana hanno la radice in questo fondo emotivo. Merci attraverso vetrine, imprendibili, oggetti che consentirebbero una forma momentanea di riscatto. Protesi contro l'impotenza, palliativi contro il disagio, effetto placebo sociale: la chiave del grottesco, dello smisurato, del deforme, se giocata con misura, sembra essere uno dei modi più efficaci per raccontare la quotidianità di questo paese, in questo momento storico, purché venga espunta ogni tendenza dolciastra, felliniana nel senso deteriore del termine, e purché si presti una cura iperrealista alla descrizione di volti, oggetti, contesti, parole, modi. In altre parole, non occorrono giochi di specchi per scoprire la deformità nella vita di tutti i giorni. Basta essere moderatamente lucidi e attenti. La deformità del paese, in più, non si è prodotta ora. E' risultato degli ultimi venticinque anni di storia.
In questo romanzo, davvero, manca solo la giraffa che si suicida buttandosi dalla finestra di un edificio in fiamme. Eppure qui c'è il quotidiano, qui ci siamo noi come comunità, di fronte a una impasse storica che chi è nato e vissuto in un quartiere di periferia, come me, può interpretare come invito alla rivolta, anche senza futuro, purché divertente. Del resto anche l'edificio-simbolo da cui parte la vicenda del romanzo è immediatamente grottesco. Un edificio lungo un chilometro, epitome del disagio da metropoli, mutazione italica di concetti funzionalisti. Si dice che la presenza di Corviale alteri il flusso dei venti in tutta la città, che impedisca al ponentino di spirare. Di certo vivere in simili contesti – ma anche in periferie "illuminate" come la Barca, da cui provengo, cantata dagli Scritti Politti in Skank Block Bologna, o nel grigiore da hinterland che Philopat conosce bene – altera la prospettiva, la rende angusta, oppure spinge all'apertura, instilla in chi ha avuto la forza o la fortuna di guardare dietro l'angolo voglia di ribellione, di libertà, di fuga.

Se c'è una cosa quindi che traspare da quest'ultimo lavoro di Marco Philopat e del Duka – vera e propria memoria storica che ha attraversato decenni di movimento e di street life romana- è il materiale di cui siamo fatti tutti, noi che apparteniamo a generazioni vicine. Cascami di ideologie, assemblaggi di stili di strada, drammi e farse, oggetti d'uso, oggetti di culto, nomi di atleti e attori, droghe, l'idea del viaggio come ombra del quotidiano difficile, una tendenza allo stoicismo coniugata con la pulsione forte, vivida, potente al consumo, all'edonismo, al piacere, al dandismo da poveri, da classe operaia, l'idea che è possibile non fare un cazzo e vivere felici, anche se questa cosa poi è uno sbattimento infernale. Attorno alle storie del Duka, che coprono vicende lontane, disparate, eppure risonanti – la nascita del tifo organizzato nella curva romanista, i primi rave party a Ibiza, il punk e la new wave, il Chiapas pre-insurrezione, Amsterdam, i Paesi Baschi - si snoda una vicenda urbana contemporanea, appena oltre il plausibile, risolta con efficacia, divertente, agevole, popolare nella migliore accezione del termine. Il rischio del reducismo è presente, ma viene dribblato agilmente, con un tocco da futebol bailado sudamericano, perché la storia tiene, le storie del Duka sono impagabili – vedi quella del Punk Secco e della corsa di carrelli da supermercato, o l'incontro con i casseurs nella Parigi dei rifugiati politici italiani - e i personaggi, specie il giornalista free lance ex-compagno e pusher di coca (e anche un paio di presenze femminili) sono ben delineati, calati nella realtà, credibili.
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa14.htm#dukaphilopat

Dec 3, 2009, 10:49 AM

Un bel libro, come del resto "La banda Bellini" ed altri dellos tesso autore. La scrittura è graffiante, cattiva, lucida, talvolta sfiora la poesia usando un limguaggio evocatore ed allucinato. Uno squarcio sulla società underground ma neanche troppo. Interessante per coloro che indagano le voci letterarie d'avanguardia e ricercano un approfondimento sulla realtà circostante senza cedere a facili psicologismi e massimi sistemi interpretativi.

Feb 1, 2010, 8:40 AM