chi ha paura di boris pahor?

autore triestino di lingua slovena, più volte candidato al nobel, praticamente sconosciuto in italia fino alla pubblicazione di necropoli(2008), che racconta la sua deportazione nei lager nazisti. il libro è stato scritto nel 1967. c'è altro da dire ?
pahor scrive romanzi dal 1948 e in italia nessuno se ne è accorto.le prime traduzioni in italiano sono del 2002. eppure le storie che racconta, comprese quelle di questa raccolta di racconti, parlano di crimini commessi contro la comunità slovena di trieste dagli squadristi prima, dal regime fascista poi: il rogo della casa della cultura, l'abolizione delle scuole slovene, che costringe i bambini a reimparare in italiano quello che sanno benissimo in sloveno, le misteriose sparizioni ('le persone spariscono come nelle favole'), gli assassinii, la imposizione di nomi italiani, insomma una pulizia etnica da manuale.
ma l'hanno fatto i fascisti,non la democratica repubblica nella quale ci illudiamo di vivere. e allora perché questi sei decenni di silenzio? e perché case editrici locali e non le major , con l'unica eccezione di fazi, che comunque non è né einaudi né mondadori?mi piacerebbe che qualcuno rispondesse.

Oct 23, 2008, 8:07 PM

Boris Pahor, nato a Trieste sotto l’impero austroungarico, di lingua slovena ma per le vicissitudini storiche divenuto cittadino italiano, difese per tutta la sua vita ultracentenaria, i diritti della popolazione di lingua slovena. Questo è il suo primo libro che leggo e confesso che per me è stato una sorpresa. Primo per l’argomento che tratta cioè del dramma del razzismo e delle violenze contro la comunità slovena, ci cui poco si parla nei libri di scuola. Il secondo aspetto che mi ha colpito è la sua scrittura ricca ma scorrevole, il suo approccio agli argomenti intenso e delicato nello stesso tempo, tanto che in alcuni punti c’è un lirismo che commuove. Un autore tutto da scoprire ( o riscoprire!!)

Mar 20, 2023, 5:07 PM
Titolo originale: Kres v pristanu

Chissà se le mani ormai anziane di Boris Pahor hanno avuto un tremito sfogliando per la prima volta l'edizione in lingua italiana di questa raccolta di racconti: racconti splendidi sottoposti a violenza, perché tradotti dallo sloveno in questa nostra lingua che a noi suona familiare e dolce ma che a Pahor deve suonare odiosa, aspra e dura come solo può esserlo il ricordo del sapore amaro di una medicina imposta a forza con un cucchiaio ficcato in gola, due dita adulte che ti tappano il naso per costringerti ad aprir bocca e tu che piangi e annaspi come un pesce.

In queste pagine si legge tutto lo sconcerto, l'umiliazione, la sofferenza disorientata e impotente di chi ha dovuto rinunciare all'improvviso, per imposizione di legge, alla propria lingua. Boris Pahor aveva sette anni quando le camicie nere incendiarono a Trieste il Narodni dom, la Casa della cultura slovena: fu quello il primo atto di repressione compiuto dai fascisti nei confronti degli sloveni e dei croati d'Istria. Ad essi fu imposta l'italianizzazione di nomi e cognomi, come fu pure vietato l'uso in pubblico della lingua, sicché anche i bambini, soprattutto a scuola, venivano costantemente umiliati e puniti se solo si lasciavano scappare una parola in sloveno.

Pahor ci narra lo sgomento innocente di questi bambini (e di certo anche il suo) di fronte alla violenza subita: splendido, tra tutti, il racconto intitolato Il naufragio, che narra l'insuccesso scolastico del bambino Branko e la rabbia sorda di un padre che non riesce a rassegnarsi al futuro di emarginazione imposto brutalmente al figlio. C'è un tema da scrivere in italiano e mancano le parole giuste: la descrizione di un naufragio che termina con un verbo sbagliato (il piroscafo s'affogò) scatena l'ilarità dei compagni e lo scherno del maestro. L'umiliazione è cocente: "Branko passa loro accanto come fosse un adulto. Perché è successo tutto questo? Prima andava a scuola per imparare. Ora invece gli sembra di dover fare ogni giorno penitenza per qualcosa".

Al di là della sensibilità della scrittura, questi racconti sono importanti perché testimoniano l'elaborazione di un lutto, la crescita in una consapevolezza etica, culturale e politica che ha le radici in un trauma infantile doloroso.
"Forse almeno i nostri figli cresceranno senza incubi e senza baratri nell'anima", scrive Pahor. Auguriamocelo anche noi, facendo tesoro della delicata poesia di queste pagine.

Mar 8, 2009, 1:54 PM