“Dove studiate i rapporti che legano le cose tra di loro?” Una sola frase svela l’essenza di tutta l’opera di Balzac

Termino con Séraphîta la lettura dei tre capitoli del Livre Mystique, a mio avviso il cuore della Comédie humaine, i testi cui Balzac affida l’illustrazione delle radici mistico-filosofiche che sono alla base della sua urgenza di descrivere la società in cui vive.
C’è nei tre racconti che lo compongono una sorta di gradiente di complessità, il che rende oggettivamente sempre più impegnativa la lettura: se ne I proscritti il lettore si trova di fronte ad un racconto in cui - pur non mancando le pagine speculative - l’introduzione al misticismo è affidata essenzialmente all’agire dei personaggi; se in Louis Lambert la struttura del testo appare duale, essendovi una sorta di equilibrio tra le pagine schiettamente realistiche dedicate alla vita di collegio dei due protagonisti e quelle nelle quali viene analizzato il pensiero di Louis, in Séraphîta prende nettamente il sopravvento il carattere speculativo del racconto, supportato da una trama scarna ed essenziale.
Del resto tale gradiente corrisponde al ruolo che Balzac attribuiva a ciascuno dei tre capitoli, come indicato nella Préface al Livre Mystique: peristilio dell’edificio mistico I proscritti, cammino dell’uomo verso il misticismo in Louis Lambert, infine misticismo inverato e personificato in Séraphîta. Data la complessità del romanzo, ritengo importante riassumerne con sufficiente dettaglio la pur esile trama e le idee esposte, perché ogni particolare assume una sua specifica importanza rispetto a ciò che Balzac vuole trasmettere al lettore per il tramite di questa eccentrica storia.
Il romanzo è ambientato in un immaginario villaggio norvegese, Jarvis, nascosto in fondo allo Stromfjord, situato tra Drontheim e Christiania, ovvero tra le odierne Trondheim e Oslo, e le vicende che vi si narrano durano pochi giorni che Balzac si premura al solito di collocare temporalmente con precisione nell’inverno tra il 1799 e il 1800.
Sovrasta il villaggio da un’altura il castello svedese, grande villa costruita una trentina di anni prima da un ricco svedese lì stabilitosi con la moglie, cui nel 1783 era nato un figlio. Morti ormai da tempo i genitori, il ragazzo vive nella grande casa con l’unica compagnia dell’anziano servo David.
Il primo capitolo, Séraphîtüs, è dedicato ad un’escursione con gli sci che il ragazzo compie sulla montagna che sovrasta il fiordo in compagnia della giovane figlia del pastore di Jarvis, Minna, la quale è profondamente innamorata di lui. Séraphîtüs cerca di convincerla a dedicare le sue attenzioni a Wilfrid - un giovane wanderer tedesco che da poco tempo si è stabilito a Jarvis - tentando di farle capire di appartenere ad un’altra dimensione spirituale, che con contempla l’amore terreno, e che presto morirà, o meglio ascenderà alle sfere celesti.
Nel capitolo successivo, intitolato Séraphîta, la protagonista appare, o meglio viene percepita, in veste femminile. È ormai sera e nel suo castello ella riceve Wilfrid, che le dichiara il suo amore e il suo sfrenato desiderio di possederla. Anche a lui Séraphîta afferma l’impossibilità di un amore terreno, esortandolo a sposare Minna: ”Credetemi, io vi voglio molto bene, a voi e a Minna! Ma vi confondo in un solo essere. Così riuniti, voi siete un fratello per me o, se volete, una sorella. Sposatevi, che io vi veda felici prima di lasciare per sempre questa terra di dolori e di cimenti”. Sopraffatto dai sentimenti, Wilfrid si addormenta ai piedi di Séraphîta, che gli rivolge una sorta di preghiera, affinché continui a viaggiare e ad innalzarsi sopra gli uomini e sopra il mondo, ed ancora una volta accenna alla prossimità della morte. Wilfrid si risveglia intimidito dalla visione di Séraphîta, di cui percepisce la superiorità spirituale, e si rassegna ad un amore sublimato per lei. Uscito dal castello, tuttavia, ritrova la sua umanità, convincendosi che Séraphîta possieda strani poteri con cui riesce ad ammaliarlo; si reca quindi nella casa del pastore, chiedendogli chi sia in realtà quella strana ragazza di cui è innamorato. Il pastore replica che per capire chi sia Séraphîta è necessario conoscere Swedenborg.
La prima parte del lungo – e centrale – capitolo successivo, dal titolo Séraphîta-Séraphîtüs, è quindi dedicata ad una puntigliosa illustrazione della vita e delle teorie di Swedenborg, con tanto di citazioni da suoi testi. Il barone padre di Séraphîta sarebbe stato uno dei suoi più stretti discepoli, sposandosi con una creatura di natura angelica, figlia di un ciabattino; il giorno della nascita di Séraphîta Swedenborg, già morto da oltre un decennio, si sarebbe manifestato ai genitori certificando la natura angelica della neonata. I due sono morti, insieme e serenamente, quando la figlia aveva nove anni. Da allora ella vive nel castello accudita da David, circondata da un alone di mistero.
Il pastore manifesta tutti i suoi dubbi sia sulle dottrine mistiche di Swedenborg sia sulla personalità di Séraphîta, nella quale vede ”una ragazza estremamente capricciosa, viziata dai genitori, che le hanno fatto girare la testa con le idee religiose” di Swedenborg. Minna e Wilfrid prendono le difese di Séraphîta, affermando che più di una volta hanno avuto la prova dei suoi strani poteri.
All’improvviso giunge trafelato David, chiedendo aiuto: Séraphîta sta lottando da ore contro demoni che la tentano, e la sua sofferenza è estrema. Tutti si recano al castello, e da una finestra vedono Séraphîta in preghiera avvolta da una luce opalescente. Mentre David corre dalla sua padrona, il pastore Becker, Minna e Wilfrid decidono di non disturbarla, rientrando al villaggio. Il capitolo prosegue con la narrazione della vita e della personalità di Wilfrid: insieme uomo d’azione e di scienza, Wilfrid, trentaseienne, ha molto viaggiato, molto combattuto, molto amato e molto studiato, in cerca sia dell’affermazione terrena sia di un’elevazione spirituale. Sebbene appartenesse ”ancora con il suo corpo alla componente fangosa dell’umanità, apparteneva in pari misura alla sfera in cui la forza è intelligente”, era ”un Caino al quale restava ancora una speranza, disposto ad andare fino in capo al mondo per ottenere un’assoluzione”. In Séraphîta egli vede l’essere capace di elevarlo, anche se il suo amore per lei è del tutto intriso di desiderio erotico e mondano.
L’indomani Wilfrid si reca da David per interrogarlo sugli strani avvenimenti della notte, e questi gli conferma che Séraphîta ha respinto l’assalto dei demoni, che anche lui ha visto. Wilfrid ha quindi un colloquio con Minna e il pastore Becker, che persiste nel ritenere pazza Séraphîta e ritiene i suoi supposti arcani poteri dovuti a suggestioni, spiegabili razionalmente.
Il cuore del capitolo successivo è costituito da una lunga dissertazione di Séraphîta ai suoi tre amici, volta a dimostrare l’impossibilità dell’esistenza di Dio sulla base sia delle concezioni teologiche spiritualistiche, secondo le quali Dio e la Materia sarebbero entità distinte, sia di quelle panteistiche, secondo cui Dio si identificherebbe con la Materia, essendo immanente a tutto ciò che ci circonda. Séraphîta sostiene una teologia che prende le mosse dalle idee di Swedenborg e può essere definita panenteistica: Dio è il principio ispiratore di tutte le cose, le trascende e nello stesso tempo è immanente ad esse: il Tutto è formato dalla materia e dallo spirito, che sono in realtà un’unica sostanza unita dalle corrispondenze e dalle relazioni che intercorrono tra ciascun essere, sia esso inanimato, animato o spirituale. L’uomo, con la pretesa di spiegare tutto con il meccanicismo di una scienza sempre più suddivisa e specializzata, non arriva a concepire la sostanziale unitarietà del mondo: ”Come ha detto Swedenborg, La terra è un uomo!” afferma ad un certo punto Séraphîta,
Nel capitolo successivo Minna, Wilfrid e Séraphîta si dirigono verso le cascate del fiume che attraversa il fiordo: dopo avere ancora una volta respinto le profferte d’amore terreno dei due, accompagnate nel caso di Wilfrid dalla prospettiva di un potere politico cui egli aspira, Séraphîta si accomiata dai due amici, sentendosi ormai prossima alla morte.
Nei tre brevi capitoli finali la vicenda giunge al suo epilogo. Alcuni giorni dopo Séraphîta, ormai allo stremo, chiama a sé i due giovani e, invitandoli ancora una volta ad unirsi, indica loro la strada per avvicinarsi ai regni celesti e a Dio, quindi muore, o meglio ascende al cielo. Minna e Wilfrid assistono a questa ascesa, e per intercessione di Séraphîta diventano Veggenti, riuscendo a percepire la Vera Luce delle sfere celesti, l’armonia delle cose e delle loro relazioni e corrispondenze. Ritornati nel loro corpo terreno, i due si uniscono nel loro amore e si incamminano per il mondo.
Come detto, Séraphîta è un testo davvero complesso, di non facile lettura, dove prevalgono dissertazioni di carattere filosofico, teologico e mistico che a prima vista appaiono astruse al lettore moderno e lontane dalle tematiche e dallo stile di Balzac come conosciuto negli usuali capitoli della Comédie humaine. Esso comunque affiora sia nelle pagine di incipit, con la meravigliosa e realistica descrizione dell’appartato fiordo norvegese in cui si svolgerà la vicenda, sia nei rari momenti di dialogo fra i tre protagonisti minori, che assumono il caratteristico ritmo quasi teatrale che rappresenta quasi un marchio di fabbrica del Balzac giovane. Si vedrà tuttavia come, una volta sfrondato della sua componente ideologica, Séraphîta rappresenti – come tutto il Livre Mystique, un vero e proprio manifesto dell’arte balzachiana, e pertanto assuma una estrema importanza per la comprensione della sua opera.
La prima considerazione da farsi è che, concordando in ciò con quanto affermato da Giampiero Moretti nell’introduzione alla bella edizione Zandonai da me letta, Séraphîta non rappresenta a mio avviso la rivisitazione balzachiana del mito dell’androgino, interpretazione che ha avuto una certa fortuna critica e fu anche alla base del successo del racconto presso i decadenti e i simbolisti delle generazioni successive a Balzac. Se così fosse, tra l’altro, sarebbe necessario considerare Séraphîta un racconto totalmente avulso dalla Comédie, mentre come visto Balzac lo inserisce nella sezione della sua opera in cui analizza le cause dei comportamenti sociali. In realtà Séraphîta-Séraphîtüs non è sia uomo sia donna, semmai è né uomo né donna: non rappresenta l’archetipo dell’originaria condizione umana, ma una condizione cui tendere per raggiungere la vera conoscenza. Minna e Wilfrid, anche se percepiscono confusamente la sua superiorità intellettuale e morale, non possono che interpretarla sulla base delle loro categorie parziali, e cercare di legarla/legarlo a sé attraverso i sentimenti solamente terreni che possono esprimere: l’adorazione di Minna e l’attrazione erotica di Wilfrid: entrambi questi sentimenti sono però irricevibili da Séraphîta, che naviga ad un’altezza diversa. La parzialità della loro percezione è testimoniata dal fatto che nessuno dei due dubita mai che l’oggetto del loro amore/desiderio appartenga al sesso opposto al loro, quasi litigando quando si confrontano su ciò.
Séraphîta è l’angelo (in senso swedenborghiano) ispiratore, in grado di aprire gli occhi ai suoi interlocutori, ciascuno dei quali rappresenta un modo di porsi parziale ed inadeguato rispetto alla realtà; quando i tre si allontanano dalla visione di Séraphîta in lotta con i demoni Balzac significativamente commenta: ”ciascuno di loro interpretava gli effetti di quella visione in modo diverso: il signor Becker dubitava, Minna adorava, Wilfrid desiderava”.
Particolarmente significativa è a mio modo di vedere la figura del pastore Becker, il dubitante. Egli è infatti ad un tempo esponente della chiesa ufficiale ed assertore di un meccanicismo di stampo schiettamente illuministico, attraverso il quale cerca di spiegare e spiegarsi il mistero delle conoscenze e dei poteri di Séraphîta. Ed è contro di lui, contro le teologie e le scienze canoniche di cui è depositario che Séraphîta rivolge la sua bellissima dissertazione teologica, di cui raccomando una attenta e se del caso reiterata lettura, e della quale forse il passo più significativo è questo: ”Così, la maggior parte dei vostri assiomi scientifici, veri in rapporto all’uomo, sono falsi rispetto all’insieme. La scienza è una, e voi l’avete divisa. Per conoscere il vero senso delle leggi fenomeniche, non bisognerebbe conoscere le correlazioni che esistono tra i fenomeni e la legge universale? […] Dove insegnate lo studio dei rapporti che legano le cose tra loro? Da nessuna parte”. È qui che a mio avviso emerge esplicitamente perché il misticismo swedenborghiano sia così importante per capire Balzac. Esso fornisce all’autore il metodo per analizzare la società in cui vive: come la scienza, anche la società è una, e per conoscerla compiutamente è necessario, oltre che descrivere i singoli elementi che la compongono, analizzare gli infiniti rapporti che si stabiliscono tra di loro. Per inciso, quanta modernità in questa visione della scienza, anche sociale, (siamo nel 1835!), e quanto sarebbe importante una sua riproposizione teoricamente organica, in questi tristi tempi caratterizzati dalla fede cieca in una sorta di neopositivismo meccanicista di ritorno, secondo la quale lo sviluppo acritico e senza limiti della tecnologia risolverà tutti i nostri mali.
Come ne I proscritti, il racconto si chiude con una partenza verso il mondo: Minna e Wilfrid, ormai uniti, quasi un solo essere cui Séraphîta ormai angelizzato ha aperto gli occhi, avendo per ciò stesso superato la loro dualità terrena, partono per andare da Dio. Come Dante, il veggente antico cui Balzac si ispira – per inciso, si notino a questo proposito le strette analogie esistenti tra il Paradiso dantesco e il Cielo verso cui si innalza Séraphîta, entrambi mondi di luce e suoni armoniosi – Minna e Wilfrid esploreranno il mondo, ormai innalzatisi rispetto alle pulsioni e ai sentimenti terreni.
Ed ecco che si può tornare ad una interpretazione in qualche modo catartica dell’opera rispetto alla missione che attende l’intellettuale Balzac, ormai deciso a dedicarsi interamente alla sua grande costruzione letteraria. Séraphîta è dedicato a Éveline de Hanska, altra fondamentale figura femminile, oltre a Madame de Berny, nella vita dello scrittore: dalla dedica si può dedurre come Madame de Hanska sia l’angelo solitario che ha superato le meschinità mondane, indicando a Balzac la via lungo la quale procedere. Hanska/Séraphîta, dunque, che apre gli occhi a Balzac, sintesi di Minna e Wilfrid, lo libera dalla sua visione parziale del mondo e gli permette di aprire le ali e andare verso il dio della conoscenza.
Ma ora, dopo averlo conosciuto meglio, è davvero tempo di tornare verso i lidi più usuali del Balzac grande dissettore della società borghese.

May 8, 2023, 9:31 AM
Del sesso degli angeli, o apologia di Swedenborg

Opera quanto meno curiosa all’interno della vasta produzione che Balzac, ad un certo punto della propria vita, volle organizzare e considerare come parti di un “unicum” dal titolo “La Commedia umana” (sicuramente un richiamo, e una contrapposizione, a quella di Dante), classificando i propri romanzi in più sezioni di tale enorme “Opus” (volle dividerli in: “Studi di costume”, a loro volta raggruppati in più sottosezioni ; “Studi filosofici” e “Studi analitici”). Questo “Seraphita” conclude gli “Studi filosofici”, inaugurati con il ben più famoso “La pelle di zigrino”.
Tuttavia Seraphita ha del romanzo veramente ben poco: forse Balzac voleva superarne i limiti ed eluderne i canoni, ma il risultato è un pesante apologo nel quale vengono apertamente e lungamente enunciate, ed applicate in pratica ai suoi personaggi, le teorie religiose di Swedenborg mediante una storia molto esile. Delle ca. 150 pagine di cui si compone, se si toglie la prima dozzina (un estenuante descrizione del fiordo norvegese dove trova la sua ambientazione), e tre quarti delle restanti, che servono a enunciare per filo e per segno da parte dell’uno o dell’altro dei personaggi le complicate tesi teosofiche ed “angeliche” del filosofo svedese, resta ben poco per la storia, che potrebbe quindi ridursi benissimo in 20-30 pagine: quella di due giovani che riescono a riconoscere il proprio amore l’uno per l’altra solo dopo essere transitati per l’amore provato per un essere angelico, un po’ uomo, un po’ donna (Seraphitus-Seraphita), che vive in un castello alla sommità del piccolo paese che si affaccia sul fiordo, e destinato a scomparire ben presto, lasciando loro lo stesso amore che essi stessi riuscivano a provare esclusivamente per lui/lei.
Francamente noioso e inconsistente dal punto di vista puramente letterario.
Forse interessante per approfondire Balzac e comprenderne la profonda spiritualità, spesso nascosta per chi conosce solo le sue opere più decisamente materiali e terrene, quelle degli ”Studi di costume” più famosi (Papà Goriot, Eugenia Grandet, Il medico di campagna, ecc.). Oppure per approcciare attraverso questo libriccino la complessa teoria spirituale di Swedenborg (che affascinò anche Schelling e Strindberg, interessò anche Schoenberg e Mircea Eliade, entrambi estimatori di questo "Seraphita), potendone costituire una breve introduzione o un compendio.

Jan 13, 2013, 7:31 PM