"E comunque si prepari al peggio. Non voglio che lei venga, un giorno, ad accusarmi di non averla avvertita. Il peggio è pieno di fantasia."
In una città in mezzo a una pianura desolata e desolante (Milano?), in un paese, in un continente, ormai allo sfascio, collassato, in balìa di bande senza scrupoli, di rapinatori, di assassini e di saprofagi, in un futuro molto prossimo, forse fra una decina, massimo una ventina d'anni, vive e lavora un uomo qualunque, un uomo per il quale i figli e l'amata moglie rappresentano l'unica ragione di vita, l'unico movente per cui ogni giorno macina chilometri per cercare di vendere a domicilio costosi depuratori dell'acqua domestica a famiglie che ormai non hanno il denaro neppure per fare la spesa. Anche se ancora possiedono giganteschi televisori, cellulari supertecnologici, computer e affini, residui di un passato benessere. Un benessere che ormai non si ha neanche più la forza di rimpiangere.
Quando era bambino si chiedeva come fosse possibile che i genitori fossero vissuti durante la seconda guerra mondiale; tra qualche anno i suoi figli gli avrebbero chiesto se era davvero esistito il ventesimo secolo.
Ma un giorno accade qualcosa che gli cambia la vita, o per meglio dire il modo in cui se la raccontava la sua vita. E comprende che la storia che si era narrato per tanti anni non aveva alcun fondamento empirico, perché, come si sa, è pura illusione credere di sapere tutto delle persone che amiamo.
Capì in quel momento che, di sua moglie, sapeva solo ciò che aveva voluto conoscere. Attraverso un'interpretazione di parte, smussando e negando gli aspetti che non gli piacevano, l'aveva trasformata in una versione comoda e comprensibile.
Errore assai comune, ma anche l'unica forma possibile di convivenza, forse.
Questo non è il libro più riuscito di Zardi secondo me, io preferisco i suoi racconti, eppure ancora una volta il suo modo di narrare certi aspetti della vita, molto comuni e anche meschini in fondo perché tanto umani, quel suo modo scorrevole ma mai banale, mi ha coinvolta.
Paolo questa volta ha centrato in pieno il bersaglio. E non a caso, credo, è stato candidato allo "Strega".
Con una scrittura solida, scarna ed essenziale, ma efficacissima nel riuscire a condensare in un limitato numero di pagine (in fondo solo 160) e quindi di scene e relative immagini, una storia personale (un uomo attaccatissimo alla propria famiglia che scopre improvvisamente che la moglie, ricoverata per un ictus e caduta in coma, lo tradiva con un altro uomo) che emerge emblematicamente come in un altorilievo da uno sfondo nel quale tutti i malesseri del nostro tempo vengono portati alle più nefaste conseguenze (un declino inesorabile della civiltà occidentale, carico di violenza, di profondi segnali di ritorno al buio e alla barbarie, intravisti come lampi attraverso squallide immagini di periferie abbandonate a se stesse e rapidi flash di telegiornali captati qua e là, fino ad una scena sul finale di sapore vagamente apocalittico).
Così questo XXI secolo, inauguratosi in modo così pericolosamente scellerato, sembra essere solo l’epoca alla quale le nostre vite si vanno lentamente assefuacendo, senza che riusciamo a contrastare la discesa verso gli abissi, senza riuscire a immaginare e sognare più un futuro per noi e per i nostri figli.
E proprio così è anche nella vita del protagonista del libro, che chiude al proprio esterno la stupidità dei tempi e cerca di salvare almeno il proprio nucleo familiare, pur nella sofferenza di non comprendere appieno se stesso e se la propria moglie, priva di coscienza, ne faccia ancora parte, o no.
Tutti personaggi hanno un nome (verso la fine si scoprirà anche quello dell’amante della consorte) meno che lui, che sembra regredito a una pre-vita nella spasmodica ricerca di un senso di se stesso oltre che in quella di ricostruire i pezzi in frantumi del l’immagine della moglie, di sapere chi fosse nella sua completezza, di colpo rivelatasi ignota. Forse perché “tutte le vite cominciano con un nome”. Fino a che il nome non c’è, la vita è come sospesa, in attesa di qualcosa che deve arrivare.
Non voglio anticipare il finale, la soluzione di una semplice vicenda che vale quel che può valere di fronte ad un abisso che sembra vicino allo spalancarsi nel nostro futuro dietro l’angolo. Ma che è pur sempre un “segnale umano”, uno di quei piccoli segnali che Zardi sembra continuamente intento a cercare nelle storie che, fin dai suoi precedenti racconti (pubblicati in un paio di raccolte a suo nome e in altre e più autori) e romanzi (La Felicità esiste), ci mostra di saper raccontare sotto uno sguardo solo apparentemente freddo e chirurgico, in realtà carico di empatia per le nostre affollate solitudini e timide, ma profonde, sofferenze.
La decadenza di una società marcescente che frana sotto le scarpe, il degrado di uomini e oggetti, lo squallore che pervade, senza scampo, ogni cosa, la ferocia derivante dalla miseria più nera. Il velo che copre tutte le infinite ipocrisie di cui è fatta la nostra sostanza, bruscamente lacerato, ci mostra per i mostri che siamo, mostri di infamia, di sozzura morale e fisica, di abiezione. Quando la realtà supera la fantasia.
”Al sesto piano vide sua madre alla porta, imbacuccata in una coperta di pile, con la luce del corridoio alle spalle. Invecchiava, ingobbiva, si seccava: non era passato molto da quando era ancora una signora distinta, coi capelli curati e la pelle del viso distesa. La povertà l’aveva consumata, oppure era solo colpa della biologia – cellule ossidate, organi esausti, fegato e reni fiaccati da decenni di lavoro. Esistere richiedeva una dedizione totale, si invecchiava solo cercando di rimanere in vita. Abbracciarla lo riempiva di malinconia.” ”L’odio di classe aveva lasciato il posto all’odio razziale che andava lasciando spazio a una forma inedita di risentimento primitivo, inclassificabile, destrutturato, totalizzante. La gente odiava la gente tutto il giorno, tutti i giorni. Tempi di ira, di tremendo rancore.” ”I muri erano scavati da mani rapaci lungo tracce che un tempo avevano accolto tubi di rame o fili elettrici; mancavano le porte, gli stipiti, il pavimento, gli interruttori, le finestre, i sanitari. Abbandonato a se stesso, l’uomo non diventava un lupo ma una specie di insaziabile blatta.” ”Quella voragine era la storia del mondo. Se fosse caduto un fulmine, la dentro, in quella melma primordiale, c’era il rischio che nascesse di nuovo la vita. Ma avrebbe avuto una ferocia che quella di adesso, in tre miliardi di anni, non aveva mai conosciuto.” ”Com’era possibile che quelle propaggini e quei buchi fossero accostati alla parola amore? E cos’erano il matrimonio, la famiglia, i figli se di fatto erano quei buche e quelle propaggini a governare il mondo? ”Lo lavarono tutti insieme, con uno shampoo alla camomilla – bagnato quel cane sembrava ancora più magro, e grigio, di una tristezza antropica ma, probabilmente, meno consolidata. Lo asciugarono e il suo pelo triplicò di volume. Ammassarono delle vecchie lenzuola in un angolo del salotto e gli fecero capire che quello sarebbe stato il suo letto. Bepi accettò di buon grado. Nel giro di poco, si era convinto di non correre rischi: sembrava nato per fidarsi dell’uomo, per obbedirgli, e per essere accudito. Pensò che quella fiducia istintiva e illimitata riscattasse, in qualche modo, il genere umano: era la prova che c’era stato un tempo in cui gli uomini avevano saputo amare.” ”Mariagloria era innegabilmente una donna sola: su quelle dita scarne erano infilati tanti anelli, ma non c’erano solitari né una fede. I capelli erano curati, e gli occhi riuscivano a mandare una scintilla anche nel buio di quella caverna; mancava qualcosa, però a quel corpo, o c’era qualcosa di troppo – una solitudine ferita, tracce di storie finite male, di sentimenti non ricambiati, un cuore freddo che nessuna aveva mai scaldato. Quel corpo chiedeva di essere abbracciato con forza. Tuttavia, la compassione non era un’opzione del ventunesimo secolo.” ”Dopo una certa età, i tradimenti creano grossi casini. Quando l’amore si trasforma in un groviglio di contratti, promesse, rughe, impegni, rate, è come un vulcano di rancore pronto a esplodere. Ma il desiderio, quel cancro dell’anima, se ne fotte delle conseguenze. Sotto c’è sempre la questione della vita che deve perpetrarsi, la storia del gene egoista, cose così. Ed è per la cieca ostinazione di quella vita che il desiderio se ne sbatte della famiglia, dei suoi dettami e delle regole. Non guarda in faccia nessuno. Basta un attimo e l’amore, il fondamento delle famiglie, si trasforma in un fucile puntato sul loro stesso nucleo.” ”Le donne tendevano ad assumere la guida delle famiglie in cui vivevano, ed era impossibile, sbagliato opporsi. Controllavano il bilancio sentimentale – le entrate, le uscite. E sapevano sempre cosa fare, lo sapevano con un organo di senso di cui gli uomini, evidentemente, erano sprovvisti.” ”Per un misterioso principio di termodinamica, gli esseri umani cercano il calore di un corpo che li avvolga.” ”I matrimoni venivano male in foto. Spesso per colpa delle comparse, le facce sui banchi della chiesa o quelle, al tavolo, in secondo piano dietro gli sposi. Raramente gli invitati erano all’altezza della situazione. E poi c’era qualcosa di disumano, negli sguardi degli adulti, come se fosse chiaro a tutti lo scopo della cerimonia. l’amore che i due sposi si promettevano era indissolubilmente legato alò sesso – alla carne, alla nudità, agli orgasmi che sarebbero venuti. L’uomo che infilava l’anello al dito della donna, davanti agli occhi di un prete, sotto lo sguardo sofferente del Cristo inchiodato e a quello materno di Maria, presto avrebbe avuto accesso totale ed esclusivo ai segreti del corpo che si stava portando a casa; e quella donna, con il viso nascosto dal velo che lui avrebbe alzato per baciare con una pudicizia quasi infantile, quella figlia, quella sorella, quella bambina, avrebbe offerto i suoi buchi a un ardore peloso, sudato, che non avrebbe più smesso di sbavarle addosso.” ”Azione e reazione. nient’altro che istinti primordiali. Come le bestie. Gli esseri umani, che arbitrariamente s’erano posti al vertice del regno animale, erano mossi da meccanismi più numerosi ma non più complicati. Celati meglio, ma elementari quanto quelli di un cercopiteco.” ”Nel sistema solare il brusio incessante della Terra era un’eccezione, una stravaganza, il prodotto di scarto di un’escrescenza del carbonio alla quale gli uomini avevano dato il nome di vita. Era quello che fregava gli umani: la tendenza a dare un significato alle cose. Era il vizio dell’emisfero sinistro. un’elaborazione continua di teorie per risalire alle cause e rendere i processi conoscitivi facilmente intuibili, assimilabili. Anche le teorie sull’amore – l’amore maturo, l’amore esclusivo, l’amore eterno… tutte cazzate.” ”L’essere umano era stato costruito per fracassare teste e dilaniare corpi. Era inutile negarlo. Aveva talento per la demolizione, il furto, gli incendi, lo stupro. Tendendo l’orecchio in quel frastuono da fine del mondo, si sentivano le risate. Là sotto erano felici. Forse come non gli riusciva da anni.” ”Aprì la portiera, e Bepi scese abbaiando: perché l’aveva lasciato solo, in una notte come quella? . Quando annusò il piede di Eleonore, il cane iniziò a guaire. Leccava quella pelle chiara con una devozione mistica. Piangeva come piangono i cani con acuti che straziano il cuore.” ”Intanto il sole era sorto come tutte le mattine, con quell’aria ottimista che hanno soltanto gli idioti. Aveva sbirciato, ed era subito sfilato dietro un paio di nuvole di zucchero filato. La città sembrava esausta e finalmente buona, come un bambino esagitato che si addormenta sfinito.”