Mentre terminavo la lettura, pensavo che, in fin dei conti, non era un gran che: la storia piuttosto banale di un triangolo amoroso, il finale un po' melodrammatico e che sembra piuttosto raffazzonato in quanto troppo improvviso, un'aura di scandalo che circondava il romanzo alla sua uscita (nel 1921), che allo smaliziato giorno d'oggi non ha più ragion d'essere. Poi, però, riflettendo un po', mi sono sentito di rivalutare il libro, per altre ragioni, che esulano dalla trama in sé. Innanzitutto, la figura del ragazzo-protagonista, che con il suo atteggiamento distaccato verso la vita e verso ogni tipo di valore e conviinzione (famiglia, amore, matrimonio, ma anche la patria, la guerra: vedasi, ad esempio, il suo commento ironico quando assiste alla parate delle truppe a Parigi, per celebrare la vittoria), mi sembra anticipare di una buona dozzina d'anni e più personaggi simili della letteratura europea (penso soprattutto al protagonista de "Gli indifferenti" di Moravia e, più avanti, a quelli dei romanzi esistenzialisti). Inoltre, il romanzo è pieno di frasi dal taglio di aforismi, in cui, facendo largo uso di similitudini e metafore molto efficaci, il protagonista narratore riassume e generalizza le sue considerazioni su vari ambiti dell'esistenza (l'amore, i sentimenti, ma anche la morte, la famiglia, le convenzioni sociali): in questo senso, Radiguet, che morirà, appena ventenne, due anni dopo l'uscita di questo romanzo, mi sembra inserirsi nella lunga e illustre tradizione peculiarmente transalpina di pensatori ma anche romanzieri, così inclini al ragionamento astratto condensato in poche fulminanti parole, che ci hanno lasciato aforismi memorabili (Pascal, Montaigne, La Rochefoucauld, ma anche Hugo, giusto per dire i primi nomi che mi vengono in mente). L'impressione è quella di un esordio molto promettente di uno scrittore che non ebbe poi l'occasione di sbocciare.
Un adolescente, con le tipiche smanie sessuali e mancanza di empatia, durante la prima guerra mondiale si fa un'amante poco più vecchia di lui, fidanzata e poi sposata a un soldato combattente. Il finale prevedibile della storia lo libera da un legame acerbo ed egocentrico consegnandolo di nuovo agli agi dell'età immatura. Tutto qui. Se non che Radiguet è abilissimo nel dar conto delle pare mentali del suo alter ego il quale, con le labbruzze ancora sporche di latte, si compiace degli amplessi rumorosi con la tenera schiava Marthe che scandalizzano gli impotenti vicini.
Il giovanotto, alquanto cinico e con la puzza sotto il naso verso domestici e commessi, gode di una deleteria indulgenza da parte del padre, un fiacco prolifico genitore che gliele perdona tutte, lo giustifica sempre e prova un malcelato orgoglio per le performance conquistatorie del rampollo. È costui uno dei padri più originali della letteratura e, a mio parere, il personaggio secondario che rende il romanzo interessante.
Ogni tanto ci si aspetterebbe che questo capofamiglia, malato di ignavia, sferrasse un paio di calcioni sul posteriore del figlio, ma non succede mai. Il ragazzo abbandona gli studi e si crogiola nel letto dell'amante senza mai patire nè un rimprovero nè il taglio della paghetta. Si abbandona al gioco della passione nello stesso modo in cui gioca a nascondino con le sorelle e riesce, per incoscienza e azzardo, a sottomettere la giovane donna sciocca e inesperta di cui si crede innamorato pur sapendo che l'eventuale sfioritura del suo corpo gli farebbe ben presto raffreddare l'ardore.
La pigrizia del padre che fa il paio con quella del marito cornuto e devoto, e la complicità indignata di chi sa, ma tace per evitare lo
scandalo, permettono al ragazzo di comportarsi come un coglioncello viziato. L'inesperienza e la noncuranza hanno come inevitabile conseguenza una pancia che cresce e l'amore che si divide in tre come una torta: una fetta per la donna, una per il nascituro, il resto per lui, il bambino scopaiolo.
C'è perfino qualche sprazzo di morale in tutto questo ( la parola fa capolino), ma si tratta pur sempre di convenzione, mai di compassione o di comprensione.
Fanno da cornice i paesaggi ameni lungo la Marna, la stanza con i mobili scelti dal ragazzo, i fatti del paese in tempo di guerra con la domestica pazza che precipita dal tetto e le meschine gelosie, le meschine rivalse dei vicini.
Poiché il punto di vista è uno solo e sta all'interno e al centro del racconto, resta l'impressione di una storia unilaterale, inconcludente perfino, narrata però con una certa maestria per la tensione sempre trattenuta e il tentativo, non sempre riuscito, di penetrare nella psiche dei personaggi.
Il ragazzino ha ben presente l'ipocrisia che lo circonda e ne approfitta; cerca un'educazione sentimentale, ma prima avrebbe bisogno di un'educazione tout court.
Lo scandalo di un amore proibito, non solo adulterino, ma anche adolescenziale; la forza di andar contro alle convenzioni, alla morale, ai buoni costumi; l'incompatibilità tra amore e libertà, libertà non solo fisica ma anche di pensiero e di spirito; la scarsa amabilità dell'adolescenza, i suoi bruschi fremiti, la tensione nascosta. Tutti questi aspetti, insieme a molti altri, affiorano con veemenza dalle centodieci pagine del breve romanzo di Radiguet. Scritto nel 1921-22, pubblicato nel 1923 (inizialmente con il titolo Emmanuel ou le cœur vert - un titolo altrettanto suggestivo, non solo per l'immagine del cuore acerbo, ma anche perché ci svela il nome del protagonista, che nella narrazione non appare mai), ha portato ad un prepotente quanto contrastato successo il giovane Raymond, un successo che lo scrittore conoscerà pochissimo, perché vittima della febbre tifoidea nello stesso 1923.
Il protagonista del romanzo si innamora di una giovane donna, fidanzata e subito dopo moglie di un soldato della prima guerra mondiale. L'ebbrezza del sentimento è folgorante, esaltante, totalizzante; scatena in lui il desiderio del possesso, e al contempo l'ineluttabilità del destino segnato di un amore proibito. Come ogni giovane, il protagonista è incostante, soggetto a sbalzi d'umore, stanchezze, facili entusiasmi e altrettanto facili depressioni; sottopone Marthe, l'amante, a più o meno consapevoli torture psicologiche, vuole essere amato, consumato, e tutto con un'aura di tragicità - tanto frequente nell'ardore della giovinezza - quasi stupendosi della pervicacia del sentimento e del suo vigore che si rinnova dopo ogni delusione, in un'altalena di vette e abissi. La sottile danza di amore, passione e gelosia, litigi e riconciliazioni, tradimenti e giuramenti di fedeltà eterna a costo della morte sono descritti in pagine intense quanto brevi, in capitoletti spezzati dallo stile ibrido, a tratti istintivo e a tratti raziocinante, come ibrido era Radiguet stesso, a metà tra letteratura e cuore, tra l'esaltazione dello stile e il suo disprezzo. Morto Radiguet, il suo romanzo viene riportato a nuovo successo nel 1947 dal bellissimo film di Claude Autant-Lara e dal fascino romantico e maledetto del suo protagonista Gérard Philipe; in comune c'è la coincidenza delle due generazioni che affrontano gli anni del dopoguerra, la prevalenza del cuore sulle armi e il desiderio incontrastabile degli impulsi vitali e ciechi che chiedono prepotentemente di tornare a galla per essere vissuti pienamente, oltre le convenzioni. Un aspetto che, al di là dei novant'anni di vita di questo testo, può ancora essere apprezzato, se osservato dal giusto punto di vista e nella luce corretta, dagli adolescenti di qualunque periodo.