Un libro che mi ha affascinato dal primo all’ultimo racconto. Per lo stile di Ben Fountain, scrittore che dimostra di possedere nella giusta misura consapevolezza tecnica, spavalderia nell’affrontare in maniera obliqua ma senza tentennamenti questioni laceranti della nostra contemporaneità, rispetto per la semplicità di scrittura. Che vuol dire rispetto per ciò di cui si scrive e di coloro per i quali si scrive.
Ci sarebbero molte cose da dire su questo libro, oltre all'elogio dello stile di scrittura, ma ripeterei quanto ho già scritto sul magazine della casa editrice (www.spartacomagazine.com), e diventerebbe una ripetizione inutile.
Però qualche parola voglio spenderla anche qui per sottolineare il viaggio fascinoso, e a tratti incantato, che parte dalla cordigliera boliviana e si sposta fino ad Haiti, centro di infiniti capovolgimenti politici, teatro di continui e inspiegabili colpi di stato. Ma terra dell’arte (e in un racconto si fa la conoscenza con i classici della pittuta haitiana), di odori e sapori indimenticabili, di riti che penetrano nella coscienza fino a diventare oggetto di vero e proprio innamoramento.
Poi il viaggio continua, nel tempo e nello spazio, fino ad arrivare, nel racconto che chiude la raccolta ("Fantasia per undici dita"), alla Mitteleuropa tra fine Ottocento e inizio Novecento. E qui il fascino diventa definitiva cattura. Perché soffia un alito di grande letteratura che invita il lettore a sfogliare nei propri ricordi fatti di pagine e pagine lette e amate nel corso di una vita. Io ci ho risentito un po’ l’anima di Borges, aleggiare in queste pagine. Come nella pagina finale del primo racconto, "Volatili semi-estinti della Cordigliera Centrale", c’è l’anima di Jack London e delle ultime righe di "Martin Eden". Quel senso di inevitabile fatalità che lì portava nel gorgo di un abisso e qui, con prospettiva spaziale capovolta, verso un cielo senza speranza. Non sembra anche a voi?
“Come ci si sente? Gli gridava Spasso all’orecchio. Come ci si sente a essere liberi? Continuavano a salire, salire, avrebbero potuto non fermarsi mai. Blair chiuse gli occhi e lasciò cadere la testa all’indietro, cedendo alla terribile assenza di peso. È come morire, voleva rispondere, come la morte, è come quando ti sentiresti afflitto e completamente perso se tutto quello che hai di prezioso svanisse. Quell’angoscia estrema che ciascuno conserva per la fine, Blair la stava consumando ora, bruciando tutte le sue riserve mentre l’elicottero lo portava lontano.”
E il Che? Appare e subito scompare. Si potrebbe dire che sia presente solo in spirito. Ma la sua presenza guida lo struggimento che accompagna, nel corso di quarant’anni, il protagonista del racconto che dà il titolo al libro. Immaginate, un bambino che si innamora di una bellissima donna americana che la leggenda racconta abbia avuto una intensa passionale e fugace storia d’amore con Che Guevara. Di quella leggenda, il ragazzino che nel corso dei decenni diventerà uomo cercherà di farne, forse inutilmente, la chiave per comprendere le incongruenze del mondo.