Thomas C. Wolfe è certamente un autore di grande bravura seppur non molto conosciuto, forse a causa della sua morte precoce.
Questa raccolta si apre con Nessuna porta, una storia del tempo e della speranza all'inizio promettente, ma che poi risulta lenta e noiosa. Una porta che si apre su un mondo nel quale Wolfe sa di non poter entrare.
Solitudini, città indifferenti, mancanza di umanità: questi i temi in Morte, orgogliosa sorella.
Incidenti mortali sulla strada con i giovani a fare da spettatori, a un secolo di distanza da quelli di oggi, con la sola differenza che allora non avevano lo smartphone per farsi il selfie con il morto.
Morti per le quali la gente manifesta curiosità morbosa, ma ci sono casi in cui è la paura a prevalere. Accade quando la morte arriva con naturalezza: noi tutti difficilmente accettiamo la sua normalità.
In certe pagine si ha l’impressione di assistere alla meccanica della morte con la sua ineluttabilità e indifferenza.
Città opprimenti, una New York fredda e che respinge, fatta solo di nomi e numeri di strade.
C’è spazio anche per la morte sui campi di guerra e qui, al contrario di quanto ci si aspetterebbe, il ritmo rallenta fino all’esasperazione.
Alcuni di questi racconti non mi hanno molto convinto, al punto di apparirmi quasi noiosi, ma Il lontano e il vicino lascia un segno indelebile e riscatta proprio le parti meno valide della raccolta.
Strepitosa la veste grafica per le edizioni di Carta Canta.

May 20, 2024, 10:12 AM

“Volevo semplicemente conoscere tutto, e impazzivo quando mi rendevo conto di non poterlo fare.”

È sempre il solito caro, logorroico Wolfe.
Spesso talmente lirico, prolisso e visionario da costringermi a interrompere la lettura per un senso di saturazione. Ma questo mi accadeva solo quando lui racconta di sé, della sua vita, o meglio della sua brama di vita, della "sete e della fame che sentivo verso di lei. Una fame così vera, così crudele e fisica che sembrava voler divorare la terra con tutti i suoi abitanti."
E allora mi pareva di vederlo l’omone alto due metri, il grande gigante gentile, vorace, eccessivo… E io che ancora una volta mi lasciavo divorare dalla sua scrittura, nonostante in questo volume siano contenuti testi, come Morte orgogliosa sorella e Buio nella foresta, strano come il tempo, già letti in altre raccolte.
Anche perché, quando meno me l'aspettavo, girando una pagina, ecco lì una perla di racconto! un racconto quasi minimalista, rispetto al resto naturalmente. Non solo uno, alcuni.

Ma di uno voglio parlare perché è tanto bello da far male. È brevissimo e si intitola Il lontano e il vicino.
È la storia di un un macchinista che ogni giorno per più di vent'anni passa con il suo treno davanti a una casetta alla periferia di un un villaggio. E ogni volta, al fischio del treno, compare sul portico una donna che saluta con un cenno della mano. È una giovane donna. Poi, dopo alcuni mesi, la donna porta in braccio una bambina. Poi la bambina è in piedi accanto alla donna ed entrambe salutano il treno. Poi la bambina diventa una ragazza ed è sempre accanto alla madre e con lei saluta il treno. O entrambe salutano il macchinista? non importa, perché lui, alla vista della casetta e delle due donne, è felice. Prova per loro una tenerezza che gli scalda il cuore, gli rende più lieta l'esistenza. Così per anni, sotto luci diverse, sotto centinaia di cieli… Poi arriva per lui il momento di andare in pensione, e allora gli viene voglia di andare a vedere "da vicino" quello che per anni aveva visto "da lontano". Prende il treno che tante volte aveva guidato, scende alla stazioncina e si avvia a piedi verso la casetta situata in periferia. Subito si rende conto di non riconoscere da vicino quello che per molto tempo aveva visto passargli sotto gli occhi dalla sua locomotiva: gli sembra un paesaggio estraneo…
Raggiunge comunque la casa, ma esita prima di bussare.
Perché?
Perché il paesino, la strada, il terreno e persino l'ingresso di quel luogo tanto amato sembravano sconosciuti come lo sfondo di un incubo?
Ma si fa coraggio e bussa alla porta. La donna che apre è la stessa donna che migliaia di volte lo aveva salutato, però nel contempo non è la stessa donna. Ha un'espressione dura in volto e anche la sua voce è fredda e stridula. Pure la figlia gli sembra ostile. Lui balbetta qualcosa a proposito del treno e dei loro cenni di saluto, ma le due donne lo guardano con sospetto e ostilità. Il macchinista, dopo aver sussurrato un addio, se ne va, consapevole del grave errore che ha commesso.
E comprese che la luminosa magia di quel luogo era ormai perduta, e che quel paesaggio splendente, quell'angolino immaginario di un universo di speranza e desiderio era svanito e non sarebbe tornato più.
Non sarebbe tornato mai più. Perché le illusioni hanno la consistenza di una bolla di sapone. E appena ci si avvicina loro – non occorre neppure sfiorarle – svaniscono.
Svaniscono per sempre.

Feb 28, 2019, 10:14 PM

Lettura faticosa quella di quest’opera, plurale e frammentaria: ma ne vale la pena,
in queste pagine ci sono uno sguardo penetrante e disincantato, un’attenzione fortissima ai piccoli gesti, una scrittura potente e aspra, un grande talento.

Dec 29, 2016, 11:13 PM