Qualcuno fa il lavoro sporco, credendo solo negli ideali. Poi qualcun'altro arriva con gli abiti freschi di lavanderia e si prende il merito, e i soldi.
E ci riesce grazie a persone come lui, appena uscite dalla tintoria, che temono il senso di giustizia, sociale e non, che si è improvvisamente risvegliato nella maggioranza del popolo.
Ha cominciato a succedere nel 1860.
Garibaldi puro e nobile di cuore, Garibaldi ardente e munifico di slanci, Garibaldi ingenuamente miope nelle torbide questioni diplomatiche e poco avveduto nella gestione delle beghe isolane, rapito nel suo grande sogno, assorbito dalla strategia militare, concentrato nel suo obiettivo di fare l’Italia o morire, lui che si contentava di dormire poche ore su una poltrona sgangherata, lui che si beava di mezzo sigaro e mezza pagnotta e null’altro chiedeva per sé.
Nel campo avversario non tanto gli irresoluti generali borbonici, quanto il giano bifronte, l’opportunista per antonomasia, il rimestatore, l’infido Conte instancabile fautore di losche trame. Con lui il re, ondivago e sprezzante parvenu.
La spedizione dei Mille raccontata con il piglio partigiano e convulso di un radiocronista sportivo apertamente schierato con la squadra del cuore. Sembra lo stucchevole telegiornale d’amore che Emilio Fede dedica a Berlusconi.
Capolavoro il libro di Bianciardi sulla spedizione dei mille di Garibaldi, Bixio, Türr, Sirtori e tanti altri valorosi patrioti. Titolo, da Quarto a Torino. La scrittura riesce a mescolare intelligentemente e senza mai cadute di tono, la realtà, suffragata dal dato storico e da un’erudizione non improvvisata, con il romanzesco che si avverte soprattutto nello sguardo del narratore in grado di mostrare il lato comico e pittoresco delle situazioni. Narratore poi che ci riconduce alla gioia del romanzo anche per la bellezza della scrittura, per la forbitezza delle espressioni, per l’audacia del linguaggio che non rinuncia nemmeno all’inciso dialettale impiegato per dare rappresentazione ludico-sonora all’Italia pre-unitaria, nella quale, un po’ velleitariamente il bergamasco doveva intendersi con il siciliano, il marchigiano con il calabrese, il sardo con il piemontese etc. Un’opera storica impreziosita dal valore aggiunto di uno stile - brillante, movimentato, lucido e espressivo - in cui riconoscere e apprezzare una volta di più l’autore de La vita agra.