Certamente chi volesse studiare a fondo la vita dell’eroe dei due mondi non si potrà accontentare delle cento pagine di Bianciardi.
Il libriccino serve, invece, a che con un rapido tratteggio della vita e delle azioni di Garibaldi si voglia fare un’idea dell’assoluto suo anticonformismo e della caparbietà con la quale ha affrontato tutta la sua vita ed i suoi ideali.
Garibaldi “obbedisce” sempre in nome di un ideale più alto consapevole delle “schifezze” di Cavour e degli intrighi del re. Unico capace, non solo in Italia, di combattere e vincere anche se privo dei migliori mezzi militari e spesso inviato in missioni marginali e presunte tali è continuamente messo da parte da chi vede il Risorgimento non come un moto rivoluzionario della nascente borghesia italiana ma da chi pensa di superare (e lo fa) a piè pari la fase rivoluzionaria per imporre un regime privo d’identità ideale.
Garibaldi sa e vede tutte queste cose e rifiuta sistematicamente di adeguarsi respingendo cariche, titoli e denaro.
Una sorta di antitaliano che amava l’dea di libertà prima di tutto, accogliendo sempre il richiamo alla lotta in patria ma con uno sguardo libero riguardo alle lotte di libertà ed emancipazione del popolo in tutto il mondo.
A Garibaldi non vanno a genio né la falsa democrazia (preferirebbe un buon dictator alla palude parlamentare) né i continui intrighi tra corte, ministri, generali e potenti dell’epoca. Ogni volta che porta in dote alla titubante morchia Savoia i suoi risultati sul campo si vede emarginato per il timore cha la sua personalità e popolarità possano accendere micce verso tematiche che l’establishment aveva deciso di non gestire (prima fra tutte la conquista di Roma al Regno d’Italia).
Quasi sempre le delusioni politiche venivano lenite con il rifugio nella “sua” Caprera dove, conducendo la vita del povero agricoltore, ricostruiva legami familiari e si teneva pronto ad entrare in campo.
Ne esce una figura, schietta, onestissima, attraversata da passioni formidabili, disponibile al sacrificio personale con qualità affatto esagerate dal punto di vista militare e politico.
Bianciardi chiude il libriccino notando come, dopo la sua morte, si sia diffusa la moda della statua del Generale. Fu un fenomeno che all fine dell’800 e nei decenni successivi vide l’uso della memorialistica statuaria e odonomastica utilizzato come veicolo di propaganda. Nel caso di Garibaldi con l’esplicito intento di celebrare da “morto” colui che fu temuto da vivo.
Non sono in grado di dire quanto sia affidabile: Bianciardi a dire il vero sembra ammirare smodatamente Garibaldi e quindi credo abbia trascurato qualche aspetto negativo. Resta comunque un libro ben scritto e che trasmette entusiasmo per questo grande personaggio oggigiorno poco ricordato.