Mi sento di dire che questo è il libro peggiore che ho letto quest'anno e se si pensa che è presentato al Premio Strega il parere negativo cresce. L'autore mette su un teatrino con personaggi che hanno alle spalle drammi e problemi su problemi. Probabilmente pensa che facendo questo miscuglio di drammi, la sofferenza reale possa trasparire in superficie e invece da queste interminabili pagine emerge solo una brutta copia di Beautiful. Quello che trapela, infatti,è solo un'assurda, inutile e crescente angoscia evidente dalle prime righe...a parte il fatto che la storia che è totalmente surreale dall'inizio alla fine, tanto da apparire ridicola...un uomo innamorato della propria donna, che è sterile, decide di tradirla con la prima che passa, nella fattispecie una straniera bruttina e sudata con cui va a letto e riesce concepire alla prima botta un figlio. La straniera poi abortisce, tra l'altro la stessa era già stata stuprata a 13 da un prete che le ha fatto concepire un figlio! Ma non finisce qui. La straniera va via e finalmente la coppia si decide ad adottare una bambina, Alice e questa diventa, udite udite, improvvisamente anoressica solo perchè un giorno per la rabbia vomita...ma c'è di più. La piccola Alice entra (poi l'autore cerca di dare un senso alla strampalata quanto assurda storia) nel giro dell'anoressia e viene citato nel libro il blog Ana, ovvero per chi è pro anoressia (cosa assolutamente da non citare perchè spinge alla conoscenza di qualcosa che per molte ragazze colpite da principi di disturbi alimentari diventa pericolosissimo) e così Alice si decide ad incontrare una ragazza dark che (e questo è il colmo) pur essendo anoressica (quindi non può assolutamente avere il ciclo) è incinta e nel frattempo gira filmati amatoriali con minorenni nude. Poi ovviamente a queste stronzate si aggiunge che la straniera dopo l'aborto torna e salva miracolosamente il padre di Alice da un probabile suicidio e scoppia tra loro l'amore. Poi la madre di Alice parte per la guerra come medico e mentre il marito le racconta via mail che la figlia è ricoverata per anoressia e sviene e vomita (ovviamnete se tua figlia sta morendo fai una telefonata alla madre e di certo non le scrivi una mail...ma per favore!)...lei gli scrive poesie o aneddoti sulla guerra. Assurdità allo stato puro!! E' triste che un problema così grave e serio come quello dei disturbi alimentari (non viene nemmeno fatta la differenza tra anoressia e bulimia) sia trattato in maniera tanto sciocca e superficiale. Il mio giudizio è totalmente negativo. E ovviamente è solo il mio parere.
Sento un vuoto dentro, milioni di parole che trasbordano dall’animo, un flusso continuo, costante, quasi perpetuo che mi invade, non riesco a contenere tutto questo marasma di pensieri. Rifletto, non so in realtà se quello che sto scrivendo renderà veramente merito alla bellezza, alla liricità, al poetizzare dell’autore Pontino Claudio Volpe, che torna in libreria con il suo “Stringimi prima che arrivi la notte”.
Il romanzo tratta dei temi molto importanti come l’amore, nelle sue molteplici forme, portavoce di ossessioni, pentimenti, voglia di infliggersi condanne, di colpevolizzarsi ingiustamente, l’amore che arreca distante, che ti fa credere che non si è lontani, anche se in mezzo c’è un fiume di perdizione che divide l’essenza tua col profumo dell’altro.
Ma l’amore non è il solo tema che tra le pagine trasuda, c’è anche il dolore, il sentirsi costantemente inadeguati, fuori luogo, un essere diverso tra tanti corpi che danzano a colpi di vita, che si bramano, che si toccano senza realmente capirsi, che si vivono con la sensazione dell’incomprensione, del vocabolario che è scritto in lingue morte, sleali, passive al pietismo del vivere la vita in modo tutt’altro che altruistico.
La protagonista è Alice, figlia adottiva di Raimondo e Delia, due genitori schiacciati dal decidere che la vita impone, due figure che non si sentono completamente vive, che non sono piene della bellezza della vita, che si sentono a metà, si sentono monche, prive del gelido vivere, di quell’assenza del generare che sarà una condanna che permeerà tutta la loro esistenza.
Lei è ossessionata dal suo lavoro, è una cardiochirurgo, è in continua balìa della paura del lento fermarsi del battere dei cuori, ma è ancora più divorata da quel senso di impotenza del non sentirsi donna, del non poter procreare, del non poter generare delle vite che siano sue completamente. Donna senza sesso, donna con l’utero scemo, donna che non vale una briciola, donna che ricopre l’inutilità del viversi diversa, del sentirsi un oggetto, un corpo a metà, un corpo che cammina che è invaso dall’essenza e dall’assenza della genitorialità.
Lui è padre che vive i sentimenti in modo quasi privativo, senza tante parole, con sguardi che pervadono l’anima, ma che non gettano aria all’esterno, non riescono a dimostrare quel dimostrabile che è sottointeso e che vedrà la luce solo dopo un percorso catartico; lui che ama la sua famiglia, che vive per sua figlia che il suo progetto, la sua luce, il risveglio dei sensi.
Una famiglia che patisce lo scorrere della vita, delle relazioni umane, del viversi come nucleo forte e senza macchie. Alice è affetta da un demone molto più grande di lei, che la scavando, la sta mordendo, la sta uccidendo, le sta togliendo l’alito della vita, lo sguardo, il lento camminare, è morbosamente entrata nel circolo di quelle ragazze che amano Ana, la divinità della anoressia, della magrezza, che fa del corpo una maschera tappezzata di buchi, di voragini, di assenze. Lei e il suo corpo, lei e i suoi pensieri, lei è le sue costole aguzze, il suo culo piatto, il suo seno scavato. Lei e solo lei che adora e annusa il valore dell’essere un ripiego, una scelta, una decisione per tappare quei buchi, quelle mancanze.
Numerose presenze faranno da corredo, o meglio affiancheranno le vite di questa famiglia, come Irene, sorella di Annuska che sarà amante di Raimondo, che attraverso la danza delle marionette incanterà, incatenerà, renderà suo quest’uomo.
Delia dall’altro canto non proverà ad ostacolare questa relazione, anzi sarà beata dal vedere felice il suo Raimondo: l’amore non è altro che vivere della felicità dell’altro, rinchiudersi nello sguardo e nel sorriso dell’altro, è palpitare ad ogni parola sussurrata, è credersi scemo ad ogni parola detta, ad ogni gesto compiuto, ad ogni attimo di vita. L’amore è la corda dell’anima, è il prolungamento di ogni nostra stessa speranza. E’ soffio gelido che ti incanta. E’ vento che ti riesce a far credere di essere in bilico. E’ sentirsi sempre vivo, anche quando si è caduti e dal basso si guardano le provvisorie conseguenze.
Nel libro si parla anche dell’Afganistan e della guerra, del estraniarsi dal vivere per singole conseguenze, del distaccarsi dal continuo ripetersi, del triste morire senza capirci in realtà nulla, senza darsi una spiegazione.
Il libro parla di quella lotta che è la vita, parla di battaglie, di rumori, di fili che ti tengono attaccato anche quando sembra che un senso per vivere non c'è più, parla dei corpi che si deformano, che si plasmano, di rapporti che sembrano ritrovarsi, di malattie, di dolori che ti tolgono il fiato, di abbracci che sembrano essere il vero senso comune dell’esistenza. Abbracci per non sentirsi diverso, abbracci perché finalmente si è trovata l’unita del tempo e dello spazio, abbracci perché in un rapporto un gesto vale più di ogni singola fottuta parola, abbracci per diventare grandi insieme, abbracci di cui non ne si può più fare a meno, da quando si riceve il primo.
Questo libro è stato uno dei candidati del Premio Strega; attraverso una scrittura minuziosa, quasi una telecronaca vissuta dell’attimo, del momento, del farsi gesto l’autore ci presenta una famiglia che è disgregata, che è ossessionata, che è tutto quello che non dovrebbe accadere, che non ha senso di trovare forma. Una scrittura introspettiva, che scava, che corrode, che si deteriora come il corpo di Alice, ma che troverà riscatto, che brillerà di nuova luce, che sarà ripresa da una campana che romperà quel sentirsi spettatori della stessa vita che scorre, per poi agire, correre, provare a lenire tutte quelle faglie nascoste e abbozzate per troppo tempo, e finalmente ricorrere e sfondare l’animo stesso della vita per approdare al ritrovamento di corpi che per troppo tempo si erano trovati e cercati in silenzio. Stringimi prima che arrivi la notte, - edizioni Anordest -, non è mai troppo tardi per ritornare a sussultare ognuno nel corpo dell’altro.
Intervista all’autore: http://www.youtube.com/watch?v=DjZK0xrx6u4
Presentazione del libro a Uno mattina Caffè: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-32dd7659-2103-499c-bbd9-2141bb293202.html
“Chi ti ama davvero ti viene incontro anche se tu stai lì con gli aculei pronto a far male e a ferire. Chi ti ama accetta il tuo male e non teme il veleno che hai in corpo perché vive del tuo stesso respiro.”
“Io credo all’amore, papà, ci credo perché non potrebbe essere diversamente e perché l’amore quando ti prende non ti dà la possibilità di resistere o di rifiutare.”
“[…] Tremarono insieme e i loro corpi sussultanti sembrarono una poesia fatta di fiati e di lacrime perché la forza di amare è un tremare convulso che è divenuto canzone. In poche lacrime il pianto si trasformò di corpi, lingue che si toccavano, mani che si stringevano, carne contro carne, sangue dentro sangue, vene che pulsavano, piedi che lottavano, occhi che si chiudevano, bocche che rinunciavano al respiro pur di serbare il sapore del piacere, burattini che crollavano dal chiodo al quale erano appesi, corpi che si adattavano al poco spazio disponibile e riuscivano ad assumere ogni posizione come fossero sospesi sull’immenso invece che chiusi in una cabina calda poco più grande di uno sgabuzzino. Si spiegavano così la vita, Raimondo e Annuska. L’amore era l’unico modo che conoscevano per stare al mondo. L’unico modo per ingannare la morte.”
Ecco un romanzo che comincia bene e poi si perde. Vera e propria superfetazione letteraria, questa opera seconda di Claudio Volpe. Una trama fin troppo fitta, con troppi personaggi che si sovrappongono e risultano difficili da distinguere, specie per quanto riguarda quelli femminili. Un eccesso di temi narrativi - qualcuno ha scritto "sufficienti per 4 romanzi" - che si intrecciano fra loro in modo abulico e piuttosto forzato. Così il lettore passa dal difficile rapporto di coppia fra Raimondo e Delia, segnato dalla sterilità di lei, al tradimento di Raimondo con Annuska, all'aborto di questa del figlio che concepisce con lui, al problema dell'anoressia della figlia adottiva di Raimondo e Delia, Alice, alla condizione di barbona senza casa di Giovannona, al desiderio (realizzato) di Delia di andare a esercitare come chirurgo in Afghanistan, a quanto è orrenda la vita in un campo sanitario in zona di guerra... davvero, un romanzo soffocante, lungo, che confonde e distrae con tutto questo popò di temi e tracce e simboli. Alla fine, tanto di cappello a Volpe per esser riuscito a dimostrare tutto il suo talento di scrittore prolifico, però una migliore organizzazione di questo che sembra più essere un ur-testo che un testo, e il conseguente taglio di buone 200 pagine, avrebbero reso questo romanzo molto più fruibile.