C’è una donna, in questo romanzo, a condurre il racconto. O meglio: a disseminarlo. Sta come di fronte a un disperso album fotografico, da cui raccoglie di volta in volta un’immagine, per poi lasciarla cadere, e ancora riprenderla. È questo il gesto che agita la scrittura, così che il flusso di eventi ed episodi si interrompe a intervalli irregolari per assecondare slittamenti di piani, repentine emersioni e sparizioni, messe a fuoco e prospettive in scorci obliqui. L’orizzonte tracciato da Carla Vasio è un prisma in stato di spaesamento, dove «ininterrottamente oggetti irriconoscibili si muovono» con passo volubile; oggetti strappati alla dimenticanza, sollevati da una memoria non immediatamente riconosciuta, intermittenti e baluginanti come inquiete lucciole dai contorni indefinibili e però irresistibili nel loro vertiginoso apparire, in un montaggio narrativo in continua torsione. Oggetti di un diorama che non cessa di stupirci.