Prefazia il Fofi, (ma quanto prefazia questo Fofi, eroico come Ipazia?) dal quale apprendiamo che gli autori qui riuniti in catalogo attingono per prossimità geografica ed affinità in spirito ad una scuola marchigiana d'illustrazione (ma come le sa tutte queste cose il Fofi? vorrei essere il suo figliolino, che la maestra se mi da' tipo una ricerca sulla scuola di figline valdarno io ci ho il mio papà Fofi che sicuramente sa anche della scuola d'illustrazione di figline valdarno, posto che sappiano disegnare laggiù), e in più che le Marche sono una specie di isola felice (a termine, eh) nel modello di crescita economica italiano.
Chissà se MaraCerriLucacaimmiMagdaGuidiSergioGutierrezVirginiaMoriAndreaPetrucciMarcoSmacchia erano consapevoli di tutte queste implicazioni socioeconomicoestetiche, e se mai verrano invitati a relazionare in merito ad un convegno ad Civitanova Marche da Confindustria.
Chissà anche se, come sostiene sempre Fofi, il loro sguardo sull'infanzia è di attesa e non di fuga, o di ripiegamento, o magari si tratta di un incespicante camminamento su di un trampolino sbilenco verso un vuoto da rimepire (Petrucci, Gutierrez e la Guidi), o verso un non-luogo (Caimmi e Smacchia).
E così necessario intravedere spiragli di crescita in queste visioni del mondo? O forse è più salutare accettare che tutti questi autori guardino a rebours in modo disincantato e affatto rigenerativo?
Piuttosto, mi ha colpito il nodo (irrisolto? irrisolvibile?) fra lo stato di natura di questi "infantes" (non parlano, letteralmente) e ciò che li circonda.
Non v'è dialogo fra animalia e personae (tutte le tavole della Mori espiromono questa sproporzione, o incommensurabilità), o, se viene tentato, è goffo e vano tentativo di recupero mimetico: gli esploratori di Caimmi scimmiottano nella loro mise en abime la naturalità fisica delle foche, e ancor più disarmanti sono i tentativi di metamorfosi vegetale in gutierrez, fino ad un'impossibile riduzione al grado zero della naturalità, quando il corpo si fa nudo per un'Arcadia impossibile, o si acquatta francescanamente per dialogare con un canide.
Semmai, mi viene da gettare un filo ad uncino con un altro catalogo: il numero delle bestie di Ericailcane.
Che belli, questi eraclitei senza redenzione.
P.s.: Caro Orecchio e caro Acerbo (e scrivo ad ambedue, così almeno uno dei due prende nota. Va bene che le copertine sono disegnate a mano. Anzi, io mi immagino la mia Mara Cerri che pensa che questa copia sarà tenuta in gran conto e destinata ai figli e ai figli dei figli. Il problema è che questa cartonature non sopravviveranno all'entropia generazionale, cari Orecchio e Acerbo... Potevamo mica copertinizzarle meglio, che mi par brutto vestirle con il domopak?