e mezza stellina.
E' impossibile non condividere il ritratto del Veneto tratteggiato da Cinquegrani, terra schiacciata tra l'esser stata scena, nei primi anni del secolo, di avvenimenti oramai simbolo per eccellenza dell'inutilità, irrazionalità e spietatezza della guerra e, negli anni della sua fine, del miracolo economico del nord est basato su un'imprenditoria senza qualità, umana prima che tecnologica, o consapevolezza, o spirito critico. Una terra, una cultura, che è stata anche culla della destra eversiva prima e della Lega poi e paradiso della Chiesa più conservatrice e corrotta; un binario morto su cui i protagonisti aspettano la fine, nel timore di esser uccisi da chi, chiamandosi fuori, può solo vivere ai margini come un cacciatore di frodo.
Cinquegrani intesse il suo racconto con il filo di una scrittura colta ma non autoreferenziale, senza tralasciare alcuna perla di questa collana un po' marcia che è il Veneto (ma dopo tutto anche l'Italia) e l' esistenza, fragile e sbandata, che vi si può condurre; ivi compresa l'alluvione di questi giorni da cui, purtroppo o per fortuna, si riesce a salvarsi.
Inizi a leggere piano, pensando che forse l'autore non sa dove sta andando a parare. Che "tu" non sai dove stai andando a parare. Poi la tecnica narrativa, circolare, ipnotica, si fa sempre più ritmica, sempre più chiara e tu scopri passo dopo passo una realtà amara, difficile, un continuo vai e vieni di pensieri e, non idee, sentimenti, analisi, riepiloghi su quello che è stato e come sarebbe potuto andare. Costruisci una storia, insomma, grazie al moto dei pensieri di chi l'ha scritta. Il resto, compreso il ruolo del Piave che scorre lentamente accanto alle rovine dell'uomo, bisogna solo scoprirlo.