Cercando nel web testi che in un modo o nell’altro facessero riferimento a Semmelweis, mi sono accordo con rammarico di quanto sia povera la letteratura dedicata a questo grande della medicina. In italiano, poi, se si esclude l’ormai introvabile traduzione (parziale) del suo ponderoso trattato sull’eziologia della febbre puerperale, gli unici testi disponibili fino a pochi anni fa erano la biografia ‘romanzata’ di Céline e l’ottimo saggio di Sherwin Nuland intitolato “Il morbo dei dottori”. Quasi per caso, poi, mi sono imbattuto in questo recente volume di Piero Borzini (anche lui un medico appassionato di narrativa, come Céline), e non ho esitato un istante ad ordinarlo. E ho fatto benissimo. Ciò che mancava, o era solo abbozzato, nei due testi già citati, qui è esaminato in modo da farne il leitmotiv della tragedia umana e professionale del ginecologo ungherese. L’indagine sul carattere a dir poco spigoloso di Semmelweis, sulle sue difficoltà a relazionarsi con i colleghi, sulla sua incapacità di prevedere gli effetti nefasti provocati dagli eccessi di ardore polemico e di passione divorante per il suo lavoro, costituisce l’aspetto veramente originale di questo eccellente saggio. Borzini dimostra in modo assolutamente convincente che uno scienziato, oggi come allora, non può permettersi il lusso di ignorare i contributi critici dei colleghi o, peggio ancora, di dileggiarli pubblicamente. Certo la psicologia di Semmelweis era assai particolare: mai disponibile alla mediazione – un “testone”, lo si definirebbe oggi – era così profondamente convito di avere ragione da non esitare a definire “criminali” gli illustri clinici che solo avevano osato mettere in dubbio le sue argomentazioni. Intendiamoci, Semmelweis rimane un gigante della ricerca medica, un vero salvatore di vite umane, eppure questo suo modo così indisponente di porsi nei confronti delle critiche altrui (ancorché ingiuste) lo condusse ad uno stato di prostrazione tale da rendergli intollerabili gli ultimi anni di vita. Dal ricovero “obbligato” tra gli alienati e il postumo riconoscimento del fondamentale contributo da lui dato alla medicina preventiva – con tanto di intitolazione di ospedali, luoghi pubblici, erezione di monumenti, ecc. – il passo è stato breve, se rapportato agli anni trascorsi, lunghissimo se misurato con la sofferenza inflitta ad un uomo colpevole solo di aver avuto un brutto carattere.