Ho acquistato questo libro e ho voluto fortemente leggerlo perché la tematica come forse ho già ripetuto svariate volte, è di quelle che mi incutono curiosità e mi smuovono l'io interiore. Il peso minimo della bellezza narra le vicende di un rapporto malato e conflittuale tra una madre e un figlio e il tutto viene scandito in prima persona da quest'ultimo; mentre gli interventi della donna si limitano a qualche abbozzo epistolare qua e là. Non posso far altro che condividere le impressioni espresse da altri utenti, poiché le mie aspettative sono state letteralmente deluse da un testo che ho trovato in antitesi con quello che speravo di leggere. Potrei anche qui esprimere l'opinione definitiva del libro con una autocitazione; difatti a pagina 138 la madre protagonista viene descritta come una figura talvolta noiosa, talvolta banale. Di un sentimentalismo patetico. Depressa e deprimente. Ecco ritengo sia l'analogia perfetta per riassumere quest'opera, il cui sentimentalismo patetico appunto non fa emergere quello che l'autrice sperava di raffigurare attraverso i deliri malati di un figlio cresciuto in un rapporto morboso anaffettivo con una madre forse egoista, triste e vittima della sua infelicità all'estremo. Ho faticato a comprendere realmente questi intenti, che ho trovato davvero poco credibili e pressoché inverosimili, anche quando ci viene narrato il violento atteggiamento maturato dal figlio in età adulta verso il genere femminile e il rapporto astioso creatosi con il compagno della donna. È un romanzo insomma che finisce per risultare estremamente fittizio e con una trama che non regge, nonostante volesse ripercorrere le fasi dell'elaborazione del lutto coniate dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross. Lo stesso stile narrativo volutamente cadenzato e sincopato, non aggiunge ritmo né tantomeno pathos agli eventi, risultando invece estremamente monotono e retorico. Peccato perché l'espediente narrativo si palesava realmente interessante ed avvincente; peccato perché trovo la Casa Editrice Liberaria una delle realtà più interessanti del panorama indipendente e mi auguro davvero di poter leggere ben altro.
Insopportabile, verboso, falso. Ecco cos'è questo romanzo.
Riponevo grandi speranze in quest'opera prima della De Paola, proprio perché sento molto vicino a me l'argomento di cui voleva parlare. Mi sono dovuto tristemente ricredere.
Se l'intento dell'autrice era quello di dare spazio ai pensieri morbosi e ossessivi di un figlio vittima dell'amore castrante di una madre egoista e infelice, beh, ammetto che non ci è riuscita.
Lo stile utilizzato è artificioso, fasullo, irritante. I pensieri dei protagonisti (specie del figlio) disseminati nel romanzo predominano su tutto, persino sui pochissimi eventi chiave ai quali non viene dato lo spazio che avrebbero meritato. Ogni minimo avvenimento diventa il pretesto per dar vita a continue masturbazioni mentali che scimmiottano soltanto il modo di ragionare di un vero ossessivo. Ogni pagina trasuda pensieri circolari che vorrebbero essere profondi, ma che manifestano solo un goffo tentativo dell'autrice di sfoggiare perle di saggezza. La De Paola, talvolta, si spinge talmente oltre al punto da rasentare l'indecifrabilità, per non parlare dell'abuso martellante di frasi spezzettate che vorrebbero donare carattere alla narrazione, ma che a conti fatti la rendono solo grottesca. La narrazione è logorroica, volutamente arzigogolata, a tratti quasi autoreferenziale. Tutto viene schiacciato da questo flusso incessante di parole che, a un certo punto, diventano puro involucro, non lasciando spazio a nient'altro.
Che occasione mancata!