Non è un romanzo per tutti

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Luana Vergari racconta la storia in maniera un po' contorta e in maniera talmente iterativa da far girare la testa a prescindere dal linguaggio e dallo sguardo del bambino, rischiando così di mettere in scacco il lettore.

Feb 22, 2015, 10:41 PM
L’estate che uccisi … due donne - 24 mag 15

Sono veramente contento di avere l’occasione di tramare di nuovo e compiutamente un libro della mia amichetta Luana. Dopo le degne prove di sceneggiature a fumetti (su cui torneremo) ecco che Luana si cimenta anche con la scrittura a tutto tondo, regalandoci un libro da leggere tutto d’un fiato. Perché veloce, perché moderatamente corto, perché ti tiene un po’ con il fiato sospeso. E non perché (come c’è scritto in copertina) sia un thriller, anzi un anti-thriller. Ma perché siamo sempre lì, in apnea a seguire le vicende del bimbo protagonista. Uno con la solita sfrenata fantasia latente o presente in molti personaggi della scrittrice. Una fantasia che si addormentava per non affrontare il presente (in “Ely è là”). Una fantasia che rende attuabili cose che altrimenti vedremmo soltanto nei videogiochi (e più non dico, ma questo ragazzino quant’è vicino ai “mostri” di “Caro Babbo Natale…”?). Luana Vergari, in un incontro pubblico organizzato nella simpatica libreria romana Giufà di San Lorenzo, sosteneva che questi 51 capitoli potevano essere letti indipendentemente, a caso, ognuno auto-contenuto. A valle di una lettura ordinata, convengo con lei. E mi domando anche se quest’ordine abbia un senso. O se, come in un poema di Queneau, si possa far volare le pagine, e poi riunirle. Uno degli elementi belli e forti del libro è anche questo, che, anche se letti in ordine diverso, la storia comunque viene fuori. Una storia che poggia su due elementi trainanti: la storia reale (quella che viviamo come “vita”, con il succedersi degli eventi, e con la loro concatenazione logica), e la storia soggettiva del protagonista. Che prescinde dal tempo. Luana riesce a farci cogliere questo elemento (forse frutto della sua lunga e profonda esperienza proprio con i bambini), questa mancanza di temporalità nelle vicende soggettive, questa logica interna che è del bambino e che non si riesce (spesso) a comunicare. Questo è il secondo elemento forte del libro, questa capacità di restituirci il mondo dell’infanzia, così com’è, soggettivamente incongruo, ma internamente assolutamente congruente. Come spesso in Luana, è la storia di un trauma, ancora più doloroso che i bambini sono meno corrazzati e quindi ricorrono alla fantasia per non essere schiacciati dagli eventi. Il nostro protagonista, oppresso da una madre tiranna e piena di regole, ma ancor più destabilizzato da un padre compiacente (che minando le regole familiari, le rende folli agli occhi del bimbo), è immerso in quel limbo fantastico che un po’ tutti ci coglieva tra l’asilo e le elementari. E poiché il mondo avanza (parliamo di televisione? parliamo di video-giochi? sappiamo tutti cosa ne sta venendo fuori…), i bambini si trovano sempre più ad immedesimarsi in una realtà più rassicurante di quella che si vive. Il nostro, quindi, si identifica in un super-eroe dotato di super-poteri, con una super-pistola con la quale terrorizza e sconfigge i cattivi. Il nonno ha la cattiva idea di regalargli un treno di legno (cosa da lui odiata), ed il bimbo spara alla foto del nonno con la super-pistola. Il nonno ha la seconda cattiva idea: muore. Il bambino associa la morte del nonno alla super-pistola, ma, come tutti i bambini, non associa la morte del nonno alla “morte”. Un bimbo ancora non razionalizza tutto ciò. La famiglia, allora, si precipita in macchina verso la Sicilia per il funerale. E durante la strada sono assaliti e rapiti da due “sbandati” che vogliono un riscatto. Mentre i genitori vengono legati, e la madre anche imbavagliata, dato che è veramente una scassapalle, il bimbo simpatizza con i due meschinelli. Non solo, ma scambia la sua pistola con quella di Vik, perché così questi diventerà più forte (è sempre una super-pistola, no?). Peccato che quella di Vik sia “vera”, peccato che con questa il bambino spari e ferisca la madre. Un po’ se ne dispiace, anche se ritiene quasi che “se lo sia meritato”. I rapinatori fuggono, la madre si ricovera in ospedale e guarisce, il padre ed il ragazzo vanno al funerale del nonno, e da quel momento il bimbo viene anche seguito da uno psicologo. Certo che il trauma è stato forte, e lui si è rifugiato nel suo mondo per superarlo. Dando poi voce, come confessa all’inizio, a quello che gli si accumula per la testa. Ora non è importante come sia morto il nonno, chi ha sparato alla madre, e tutti gli altri traumi che si vedono in controluce nel libro. Quello che importa, e che Luana ci riporta mirabilmente, è quanto passa nella testa di questa persona (che un bambino È una persona, piccola ma intera). Si accatastano così sensazioni, idee, momenti di vita. Il tutto condito dalle capacità verbali ed affabulatorie della scrittrice. Indimenticabili la storia della “gatta al largo”, la teoria dei colori, gli “orari fusi”, lo stare silenzioso. Luana riesce a rappresentarci con questi fogli di vita vissuta (così ribattezzerei i capitoli) proprio la vita di questo bambino, così come lui la sta vivendo. Ringrazio quindi la mia amica scrittrice per lo sforzo che ha fatto al fine di rendere fruibili le sue pagine (e so che non è stato facile), all’idea che ci instilla dei molti linguaggi presenti in ognuno di noi. Vuoi perché legati alle età della vita, vuoi perché legati all’andare pel mondo, così che ci si agglutinano dentro tante parole, tante idee, ognuna con il suo preciso spazio. Una bella lettura, che mi ha fatto tante anabole al cuore ed al cervello (non è un errore di stampa, è un piccolo dono di un immaginifico T9 che faccio alla mia amica Luana).

May 24, 2015, 5:17 PM