Un libro per chi vuole approfondire il versante meno pubblicizzato dell'opera di Fitzgerald, ovvero quello dei racconti, che pure hanno rappresentato la sua principale fonte di sostentamento quando era in vita, soprattutto nella seconda parte della carriera. In questo caso, è bene premetterlo, non ci troviamo di fronte al meglio della sua produzione nella forma breve, che invece si può ritrovare nello splendido "Tutti i giovani tristi", pubblicato subito dopo "Il grande Gatsby", e nei 28 racconti della raccolta postuma curata da Malcolm Cowley. Ciascuna delle sette storie che sono state tradotte e riunite per formare questo nuovo libro è, letteralmente, quello che lo stesso Fitzgerald chiamava "una scopata da puttana", ovvero un racconto scritto su commissione, ed esclusivamente allo scopo di riscuotere il ricco compenso delle riviste "Saturday Evening Post" e "Redbook". Siamo nella prima metà degli anni Trenta, e di questi soldi - si parla di cifre comprese fra i due e i quattromila dollari di allora per un solo racconto, qualcosa di inimmaginabile oggi - lo scrittore ha un tremendo bisogno. Non si tratta più di soddisfare i capricci di Zelda o di organizzare party magnifici, ma di fronteggiare la crisi dopo il crollo del '29, che lo ha impoverito come molti altri, pagare gli studi della figlia e la retta della clinica dove ora è ricoverata la moglie per i suoi problemi psichici e, in mezzo a un simile disastro, continuare a scrivere i suoi romanzi, che non vendono più come un tempo. "Gatsby" e "Tenera è la notte" (quest'ultimo in fase finale di lavorazione proprio mentre vengono pubblicati i racconti de "Gli anni della crisi") sono incredibilmente dei flop commerciali, e verranno rivalutati solo dai posteri. L'autore di queste short story è già un uomo provato, in qualche modo minato dai problemi di salute e dalle preoccupazioni economiche, ma al contempo conosce meglio se stesso, il proprio talento e le vere ragioni per cui scrive. E soprattutto possiede una cifra autoriale e una maestria tali da far emergere sempre, in tutta la loro profondità, i tipici temi fitzgeraldiani, persino quando è chiamato a farlo in uno scritto d'occasione, il cui committente pretende un lieto fine allo scopo di infondere un po' di ottimismo nei lettori.
Oltre all'incredibile attualità dei problemi che attraversano alcuni di questi personaggi (il Dick Henderson de “L'autobus di famiglia” e Paula Jorgensen in “Nuovi tipi” sono quelli che lasciano maggiormente il segno), i più appassionati si divertiranno a individuare i calchi su cui sembrano modellati: se nei primi due racconti, “Fra le tre e le quattro” e “Un cambiamento di classe”, si intravede già il Fitzgerald disilluso, amaro ma lucido della maturità, “Diagnosi” riporta alla mente, anche se con minor forza visionaria, le atmosfere fiabesche e un po' vaghe de “Il diamante grosso come l'Hotel Ritz”, e anche “L'assegno scoperto” e “L'autobus di famiglia” evocano i primi lavori con i loro giovani protagonisti spiantati e vanitosi, alle prese con ragazze inarrivabili. Il tutto visto con la nostalgia che si prova per qualcosa di perduto e ormai lontano: pura narrativa fitzgeraldiana, insomma, a dispetto della sua anima commerciale.