“Era vecchio, incredulo, sentimentale; aprire il postribolo adesso era come sposarsi in articulo mortis, come credere ai fantasmi, come agire su ordine di dio”.

“Raccattacadaveri” è il terzo romanzo del ciclo di Santa Maria, dopo “la vita breve” che da inizio al ciclo e “il cantiere”.Ci sono in verità una serie di racconti tra questi che verranno in seguito raccolti e tradotti in italiano con il titolo “triste come lei”.
A proposito di Santa Maria a metà libro Onetti si diverte a ricordarci che Santa Maria è solo una invenzione “E così, se immagino di stare ad inventare tutto ciò che scrivo, le cose acquistano un significato, inspiegabile, è vero, ma del quale potrei dubitare soltanto se dubitassi della mia stessa esistenza. Non ci fu mai nulla prima,o, per lo meno, null’altro che una distesa di sabbia,…..ho inventato la piazza e la sua statua, ho fatto la chiesa, ho distribuito isolati….”
Si parla di un certo Larsen che arriva col treno a Santa Maria con l’idea di aprire un postribolo, accompagnato da tre…come dire…. collaboratrici ben avanti negli anni, una grassa e una uno stecco….non certo il fior fiore insomma…non certo prima qualità. Per lui questa era una idea fissa, avuta fin da piccolo, chi vuol fare lì ingegnere, chi l’avvocato chi invece vuole gestire un casino, …una idea come un’altra, mi ricordo che mio fratello più giovane voleva fare lo spazzino….
Va spiegato che il nomignolo di “Raccattacadaveri” o per gli amici “raccatta” deriva proprio da questa sua massima aspirazione di vita e dal fatto che non avendo molte possibilità economiche era costretto ad “assumere” quello che passava il convento, …. a raccattare appunto cadaveri, ….. “bisognava vivere e perciò inventò il patronato delle puttane povere,vecchie, consumate e disprezzate.”.
La sua ragion di vita incontra mille ostacoli in paese tanto che questa sua impresa è destinata a fallire ed è costretto a far bagagli ed andarsene lui e le sue giovinette.
Esiste una storia parallela, la storia della bellissima Julita, giovane vedova che per la morte del marito, perde il senno e che si innamora disperatamente del fratello molto giovane del marito morto. Un amore tormentato, torbido, nascosto, proibito, disperato, una storia molto bella di follia molto onettiana.
Questo romanzo, diversamente dagli altri che sono molto diversi gli uni dagli altri, ha un forte parallelo nel libro precedente “il cantiere”; anche in quest’ultimo c’è la storia di un ritorno a Santa Maria di un personaggio, scappato dalla città anni prima, che prova a crearsi una occupazione, anche in questo caso fallita in partenza, e che è costretto ad abbandonare dopo mille vicissitudini. Anche in questo libro c’è una figura femminile insana di mente che fa da controcanto alla storia principale.
Come nel “Cantiere” in “raccattacadaveri” troviamo i silenzi interrotti dal vento o dalla pioggia, troviamo il riverbero del caldo infernale, troviamo i personaggi descritti dai piccoli particolari, dal loro immobilismo o dai loro minimi movimenti, dalle loro labbra, i loro denti, i cappelli calati sulla fronte, la immancabile sigaretta appoggiata al labbro inferiore, da particolari apparentemente insignificanti ma che poi alla fine come in un puzzle danno l una immagine perfetta.
Anche in questo romanzo la meravigliosa scrittura onettiana densa, corposa, senza essere barocca o colta, pensata in ogni singola parola, difficile ma stupenda.
Tra i più belli del ciclo di Santa Maria.

May 23, 2013, 8:07 PM

Onetti è uno dei più grandi e suggestivi cantori della sconfitta.
Una garanzia. Non delude mai.

Dec 20, 2014, 12:49 PM
Come se non avessimo fame

“Non voglio imparare a vivere, ma scoprire la vita una volta e per sempre. Giudico con passione e vergogna, non posso impedirmi di giudicare; tossisco e sputo verso il profumo dei fiori e della terra, ricordo la condanna e l'orgoglio di non partecipare alle loro azioni”.

Onetti scrive in questo libro potente e straordinario, percorso da incontenibili furori, che la poesia è fatta con quello che ci manca, con quello che non abbiamo. E' per questo che lo vediamo dischiudere significati e inventare prosa stilisticamente sublime parola dopo parola, frase dopo frase, cercando di dare voce e spazio all'inspiegabile, al dubbio, alla malinconia, alla notte e al senso di fallimento di fronte allo scorrere del tempo e al disgregarsi di ogni ragionevole certezza sull'esito delle vite che mette in scena. Capitolo conclusivo della trilogia di Santa Maria, il romanzo sembra una confessione laica, una maledizione silenziosa fondata sulla corporeità; la casa di piacere, laggiù celeste sulla costa, diviene un luogo ipotetico e ideale per sviluppare la propria poetica, il terribile e infecondo dialogo con la verità della finzione, l'interminabile alternativa del disperdersi e smarrendosi lasciarsi andare, per fuggire dall'ineluttabile oscurità, dalla consapevolezza dell'oblio. La promiscuità e il decoro sono simboli che si svestono delle loro valenze morali per divenire rappresentazioni dell'umano con le sue contraddizioni, fatte di volontà e di speranza, di viscere e destino, di femminilità fatale e pentimento; bene e male, felicità e tristezza, verità e finzione, vita e morte, storia e istante, tutte queste realtà si presentano immediate agli occhi del lettore e sotto la pelle dei personaggi di volta in volta come alternative metafisiche, possibilità naufragate, irragionevoli conclusioni di un indecifrabile e non negoziabile testamento immateriale.

“Questo senso di naufragio – che Larsen vedeva realizzarsi indipendentemente da qualsiasi circostanza immaginaria -, questa condanna biologica alla disillusione, affratellava a lui tutte le donne”.

Jan 17, 2015, 1:19 PM