28.8.2016
Figata, scrissi nel lontano aprile 2016.
Mi venne questo commento spontaneo quando mi arrivò il pacchetto contenente il libro: in 140 pagine (e che pagine! Edizione raffinata e bellissima carta, sempre piacevole da avere sotto le dita anche in questi tempi di barbara digitalizzazione), in 140 pagine, dicevo, abbiamo un’interessante introduzione, un saggio di Samuel Beckett, un florilegio di brani tratti dalla monumentale opera riportati in lingua originale e arricchiti dalla traduzione di Rodolfo Wilcock, più vari articoli che lo stesso traduttore scrisse nel corso degli anni sul grande Autore irlandese.
Pappa buona, pensai dunque, e rimasi in rispettosa adorazione, guardandolo da lontano; in fondo, il mio dovere l’avevo in parte già fatto, l’avevo comprato e anche rozzamente commentato, ottenendo peraltro l’inaspettato apprezzamento di fior di anobiani.
Ora mi sono decisa ad affrontarlo (e del resto, se non ora quando?: una settimana nel nulla assoluto, ampi spazi per disperdere i familiari, uniche distrazioni il fruscio delle foglie al vento e qualche stupido insettino).
Ebbene, all’esito della lettura, non posso che confermare: figata!!
Un testo intraducibile e mai compiutamente tradotto, la quintessenza del linguaggio sperimentale e dell’antiromanzo, un libro anfetaminico, delirante, infernale, diabolicamente profetico (pare che contenga le parole “email”, “google”, “Nike” a proposito di scarpe, “tigerwoods”, e perfino, a distanza relativamente ravvicinata, l’accostamento fra le parole “fungo” e “Nogeysoky” che qualcuno ha voluto leggere come “Nagasaky”…) Si capisce perché alcuni traduttori sono impazziti prima di portare a termine l’opera, e altri si sono suicidati, e per tutti comunque questo testo è stato un’ossessione?
Libro peraltro coltissimo, pieno zeppo di riferimenti biblici, antropologici, etnici, cabalistici; parole che sono sì inventate, ma hanno in sé una pienezza di significati intrinseci, strizzano l’occhio al latino e mutuano radici dal sanscrito, sono pervase di religiosità. In tutto questo, la trama e l’ambientazione dell’opera passano decisamente in secondo piano: qui la forma è contenuto; è noto comunque che si narra del sogno del vecchio Finnegan che, giunto al termine della sua vita, ripercorre le vicende storiche dell’Irlanda e la nascita del mondo.
Molte sono dunque le chiavi di lettura e diversi gli approcci possibili: chi vuole approfondire l’aspetto filologico e storico avrà pane per i suoi denti; io, per evidente scarsità di mezzi, l’ho letto per divertimento e per il puro piacere di assaporare il meraviglioso mondo delle parole che l’Autore ha creato (utilissima, in questo, la versione originale) e la fantasiosa raffinatezza del lavoro svolto dal Traduttore. Due poeti, non c’è altro da dire.
Interessanti gli scritti di Wilcock riportati in appendice; da cui si apprende, ad esempio, che Joyce non amò Roma ed ebbe una pessima esperienza nel suo soggiorno nella capitale: vi lavorò come impiegato di banca alloggiando in Via Frattina (location oggi ambitissima, ma probabilmente all’epoca umida e cadente); il Tevere gli faceva paura perché troppo grosso e troppo turbinoso; le antichità gli sembravano un cimitero e tutto gli parlava di morte e di rovina; il suo passatempo era ubriacarsi mentre la futura moglie Nora lo aspettava a casa inviperita, e finì anche derubato da due balordi compagni di bevute…
Chi ha paura di Finnegans Wake? Io. Ma questo libro la fa passare e anzi risveglia una curiosità più grande di affrontare un testo "impossibile". Tuttavia ciò non potrebbe succedere senza la lettura del saggio di Samuel Beckett, della prefazione di Edoardo Camurri e degli scritti di J.R. Wilcock. che accompagnano il testo (brani scelti e tradotti dallo stesso Wilcock). Così che poi trovo pure la voglia di leggere il commento su Avvenire di Alessandro Zaccuri (Joyce, la lingua del sogno, 30 marzo 2016). Che ve ne pare? L'unica cosa che mi sembra di capire è che si tratta di un testo intraducibile se non liberamente, ma certo non a caso; che il significato delle parole (e della storia) non sono definitivamente certi, né necessariamente necessari alla lettura e poi che questo libro di Joyce pare sia un work in progress continuo dove tutti possiamo vedere l'inizio e la fine di ogni narrazione, per poi ricominciare daccapo. Acc....qualcuno mi può aiutare?