La collana, per chi conosce effequ, non c'entra nulla con questo libro. Anzi, direi che a tratti sia fuorviante: il libreria lo si compra perché ci si aspetta un saggio sulla letteratura queer (ed è quello che il sottotitolo promette), ma è una truffa ben congeniata.
Mi è stato regalato da una persona che conosceva la mia intransigenza, organizzandomi uno scherzo bell'e buono. "Finalmente un libro che tenta un'operazione di cui si sentiva la mancanza: delineare un canone queer nella letteratura italiana. Per di più in una forma esile, accessibile, inclusiva!" Ho pensato. Non che non esistano tentativi simili in Italia (penso all' "Eroe negato" di Gnerre), ma manca tutt'ora un'opera che non si limiti a uno sguardo "omocentrico".
Dopo un primo capitolo che trasuda naïveté (ma non era totalmente qualcosa di negativo, a tratti lo rendeva interessante) in cui ci si muove davvero nella forma saggio, accade l'irreparabile.
L'autore diventa personaggio, un Tondelli scomodato, che forse si faceva meglio a lasciare nel pantheon, diventa il Virgilio di un moderno poema allegorico in prosa. A ogni riga il danno si fa più irreparabile, parola dopo parola diventa sempre tutto più cringe: i personaggi che i due incontrano –gli scrittori e le scrittrici del nostro bramato canone – non sono figure auerbachiane. Non sono neanche parodie. Peggio: sono il meme di loro stessi, lo spauracchio pacchiano e patetico di ciò che sono stati in vita.
Ogni capitolo contiene episodi allegorici, spiegati in seguito da una striminzita dissertazione che dovrebbe essere la componente saggistica del linbro. Ma ormai è tutto rovinato, questo "siparietto" (maledetto sia il professore allucinato che glielo ha suggerito) ha tolto "scientificità" a tutto quanto. Si ha in mano un libro che non si sa cosa sia. Forse un saggio uscito male? Un poema uscito male? Un sogno adolescenziale uscito male?
Vi dico cosa è: è prima di tutto un tentativo di inclusività drammaticamente malriuscito. Chiamare gli uomini che cognome e le donne per nome oscura per l'imbarazzo l'ambiziosa regola della casa editrice a usare lo schwa per superare il maschile sovraesteso.