La ragazza è lei, la scrittrice, quando nel 1958, diciottenne, per la prima volta lontana dalla famiglia come educatrice in una colonia, scopre l’amore, il rapporto con l’altro sesso, i giudizi e i pregiudizi del gruppo, della comunità. L’autrice alterna il racconto in prima e in terza persona, sentendosi ancora quella ragazza, che agiva spinta dal desiderio di libertà e di nuove esperienze, ma prendendone pure le distanze, resa lontana dal tempo trascorso e dalla vita accaduta successivamente. Dice Duccio Demetrio in Raccontarsi: “quando ripensiamo a ciò che abbiamo vissuto, creiamo un altro da noi. Lo vediamo agire, amare, soffrire, godere, mentire, ammalarsi e gioire: ci sdoppiamo, ci bilochiamo, ci moltiplichiamo.”
L’autrice racconta di se stessa con fredda oggettività o con convinta partecipazione, cercando di capire cosa l’avesse spinta a comportamenti così licenziosi, come l’essere soggiogata dalle avances sessuali del capo degli educatori, o la dipendenza bulimica o la cleptomania compulsiva, affermando “ a che scopo scrivere se non per disseppellire cose, magari anche una soltanto, irriducibile a ogni sorta di spiegazione – psicologica, sociologica o quant’altro – ( … ) che possa aiutare a comprendere – a sopportare – ciò che accade e ciò che facciamo.”
Perché c’è sempre “ l’incomprensione di ciò che si vive nel momento in cui lo si vive” e tornare ad aggiornare la verità su se stessi diventa indispensabile per “assicurare continuità all’esistenza”.
In questo modo il diario di quel periodo diventa strumento di riflessione sul passato e sul presente, riappacificandosi e ricongiungendosi con quel che era stata.
In ogni caso una scrittrice con i fiocchi.