Il libro parte da un'idea curiosa, bizzarra, stimolante: lo sciopero della morte. L'autore ne sviscera le paradossali conseguenze della situazione con acume e arguzia. Dalla vicenda scaturiscono scene grottesche, da teatro dell'assurdo, con dialoghi ingegnosamente surreali. Eppure ho fatto tanta fatica ad appassionarmi a questo libro. Il motivo, ritengo, è questo: i romanzi che narrano vicende di portata storica, anche se distopici, lo fanno attraverso il punto di vista dei personaggi che, con la loro umanità, si ritrovano in mezzo a vicende epocali. L'efficacia di queste storie risiede proprio nel mostrare l'impatto della Storia sulle storie di persone "in carta e ossa". Qui non avviene questo. In questo caso c'è, piuttosto una cronaca di fatti che riguardano astratte categorie (le compagnie di assicurazioni, le pompe funebri) o figure anonime (letteralmente anonime: "il direttore", "il ministro", "l'uomo di cui abbiamo parlato a pagina 88"), senza alcuna pretesa di spessore e, direi, di coinvolgimento emotivo. E senza questo coinvolgimento fatico a considerare quest'opera un romanzo, anziché un raffinato esercizio di stile. Non cambia il mio giudizio la parte finale, con la questione amore/morte, di cui non sono riuscito a cogliere il senso, né il nesso con il resto del romanzo.