Di Goffredo Parise avevo letto Il prete bello e qua e là i Sillabari. Ora ho letto questo suo primo romanzo, scritto a 18 anni. Un romanzo che Parise leggerà d'un fiato, a voce alta, a Neri Pozza, il quale gli suggerisce delle modifiche. Ma, nell'ostinazione della giovinezza, si opporrà al suo invito.
Così Neri Pozza lo pubblica con un'avvertenza nella quale dice, tra l'altro «Dopo la prima lettura dell'opera egli [l'editore] ha insistito presso l'autore perché tornasse pazientemente sul testo a togliere storture ed errori. L'autore ha rifiutato di farlo con l'ostinazione spavalda di chi ha davanti una vita e si ripromette di trarre da questa nuove esperienze ed opere. Così il romanzo è rimasto tale e quale era nato e oggi si pubblica: frutto doloroso di un grande talento».
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Un romanzo sull'amicizia, sulla morte, onirico, fantasmatico, in cui realtà e irrealtà si mescolano e rimane, dopo la lettura, un grande stupore e un senso di profonda malinconia.