Appena ho iniziato a leggere questo libro, mi è spuntato un sorrisetto compiaciuto per lo stile di scrittura della Raimo che non tarda ad emergere: graffiante, irriverente, sarcastico. Ho subito pensato che mi sarei divertita nei giorni a seguire con lei, ma dopo i primi episodi raccontati dall’autrice da cui emerge una situazione familiare a dir poco colorita e ai limiti della credibilità, ho cominciato a chiedermi dove volesse andare a parare. In generale il libro si compone di episodi nella vita dell’autrice raccontati in prima persona scollegati fra loro, come se li scrivesse man mano che le tornano a mente, e così amori adolescenziali, frustrazione lavorativa e noia infantile si mescolano fino all’amara presa di coscienza dell’autrice: “Niente di vero” non è che la sintesi di ciò che la Raimo sente di sé stessa, perché la vita vissuta, dominata dal torpore, la pigrizia e l’indolenza, è ben diversa da quella che ha sempre raccontato agli amici, ai conoscenti, alla famiglia e anche a sé stessa. Ed è ben diversa dalla sé stessa che immaginava da bambina.
La maggior parte dei ricordi ci abbandona senza che nemmeno ce ne accorgiamo; per quanto riguarda i restanti, siamo noi a rifilarli di nascosto, a spacciarli in giro, a promuoverli con zelo, venditori porta a porta, imbonitori, in cerca di qualcuno da abbindolare che si abboni alla nostra storia. Scontata, a metà prezzo. La memoria per me è come il gioco dei dadi che facevo da piccola, si tratta solo di decidere se sia inutile o truccato.
Non è una lettura memorabile a mio parere; malgrado questo, quando ho chiuso il libro, mi sono chiesta con un po’ di amarezza: quanto siamo disposti a mentire pur di vedere negli occhi dell’altro quel guizzo di stima, talvolta invidia, per l’immagine che vorremmo di noi, a nostro parere vincente e di successo? Perché ci affanniamo tanto per modellare l’opinione altrui che vogliamo per noi e perdiamo di vista noi stessi fino a rischiare di arrivare al punto in cui ti guardi allo specchio e non ti riconosci più?