Ci sono libri che entrano nella propria classifica personale, chi va in top ten, chi in top five, chi tra i belli senza posizione.
Poi ci sono i libri che, appena finiti, sanno già che il loro destino sarà andare in una postazione, senza posizione nè podi, in un angolo sperduto ma meraviglioso.
Per me Marcovaldo andrà lì. In un angolo speciale del mio cuore, dove in realtà forse c'era già e dove vi è rimasto chiuso per anni, scontando il pregiudizio della banalità, ma in pieno conflitto con la curiosità nata dopo aver letto un brano a scuola elementare.
Marcovaldo ovvero le stagioni in città è un libro meraviglioso. Sottovalutato credo.
Ogni racconto - non ce n'è stato uno che non mi sia piaciuto - mi ha regalato contemporaneamente sorrisi dolci e amari; sarà che sono nata fra le campagne e capisco la difficoltà di non ritrovarsi l'erba sotto i piedi fra i marciapiedi di città, sarà che i sogni dei bambini che sanno di non poter avere tutto tutto sono uguali, sarà che essere trasportati in un mondo sospeso è il sogno di tutti i lettori.
La leggerezza con cui Calvino narra le dis-avventure di Marcovaldo è un colpo di pennello sulla tristezza del binomio povertà/capitalismo; l'ironia velata con cui intesse le storie e la verve del "così è la vita" fanno di questo libricino, apparentemente per ragazzi, un mattone di gommapiuma da leggere e far leggere ai propri figli.