Mi sono spesso chiesta come avesse potuto Paul Bowles scrivere una storia come quella che ricordavo di aver visto narrare da Bertolucci e questo è stato anche ciò che mi ha spinto a procrastinare la lettura negli anni.
Il tè nel deserto è un romanzo totalmente beat, la doratura cinematografica e hollywoodiana che gli hanno incollato addosso in che cosa lo ha trasformato? mi chiedevo incessantemente durante la lettura.
D'altronde da un simpatizzante dei Beat cosa ci si poteva aspettare se non un racconto simile?
La verità è che del film ricordavo poco o niente.
Persa fra la polvere e il caldo africano ho dovuto ricordare a me stessa che fra i viaggiatori non c'erano Burroughs e l'autore ma solo Port, Kit e Tunner che in piena linea con il motto di Kerouac Nulla dietro di me, tutto avanti, si spostano senza meta per il solo gusto di muoversi, di non sostare troppo a lungo nello stesso luogo.
Proprio come fece l'autore nel 1947, trasferendo definitivamente la sua dimora a Tangeri per poi ospitare molti amici americani in viaggio, così i personaggi del suo romanzo sembrano voler dimenticare di avere una casa, scelgono un esilio volontario e come una carovana di nomadi, si spostano incessantemente con i loro voluminosi bagagli addentrandosi sempre di più nel cuore selvaggio del paese, in una perpetua fuga dalla civiltà.
I tre turisti americani che, a detta loro turisti non sono ma semplici viaggiatori, verrebbe da definirli la strana coppia, se in realtà non si trattasse di un emblematico trio. Alla fine Tunner, quello che inizialmente viene etichettato come strano, sembra essere il più sano dei tre, Kit e Port si trasformano invece, da una banale coppia in crisi, in due anime tormentate alla ricerca di sè e al tempo stesso timorose di trovarlo e vederselo palesare come un doppio, un'immagine riflessa.
L'immensità del deserto è nulla di fronte al vuoto interiore di Kit, la sua agghiacciante indifferenza lascia annichiliti, il suo percorso finale è assurdo e inverosimile, uno stato mentale palesato dal suo terrore di aprire gli occhi e di vedere, vedere ciò spinge ad abbandonare tutto per lasciarsi trasportare dalla fatalià degli eventi, incurante dei pericoli e delle conseguenze delle sue scelte che la portano verso un degrado sempre maggiore e senza via d'uscita.
Allora ci si perde nelle magnifiche descrizioni dei luoghi visitati, lasciamo che la sabbia ci si incolli alla faccia e che penetri a fondo nei nostri abiti, sopportiamo il tormento delle mosche che ci ronzano intorno insistentemente, tutto pur di non dover vedere questi strani americani, folli fino al punto di addentrarsi in zone remote e pericolose, squallide e sporche, mettendo a rischio la loro stessa salute.
Tutto questo a quale scopo? Allontanarsi magari da un paese appena uscito dalla guerra per immergersi nella desolazione del deserto, rifugiarsi in un limbo fatto di noia, caldo e sporcizia per scoprire che magari il luogo più arido è proprio insito in loro.
Rivedendo il film, a lettura ultimata, scopro con stupore che la storia è più attinente al romanzo di quanto ricordassi, salvo poi declinare miseramente, subito dopo la malattia di Port, per vederla trasformarsi nel semplice e sterile viaggio in solitaria di Kit, più turista che naufraga dell'anima.
L'ultima parte snatura totalmente il significato del libro e lascia lo spettatore smarrito quasi quanto Kit.
È vero che il personaggio di Kit si dimostra per tutto il film più amorevole e devoto rispetto all'originale ma comunque si rischia di non comprendere la conclusione della storia e di frantentere il suo perdersi per poi ritornare al punto di inizio.
Resta la colonna sonora di Ryuichi Sakamoto e le splendide immagini che aiutano a completare la visione d'insieme del libro più un cameo dello stesso autore che tenta in qualche modo di riportare le sue creature nella giusta direzione.
I personaggi del libro però sono tutt'altra cosa.
Conoscendo le frequentazioni dell'autore, questo viaggio Kit e Port lo avranno mai fatto davvero? o forse, solo allucinati, si saranno addentrati nei meandri dell'anima in cerca di qualcosa, o del nulla?