"A questo poi ci pensiamo" è un libro postumo, come si dice. Non mi sono mai piaciuti i libri "postumi", i dischi "postumi", le opere "postume", perché mi è sempre sembrato come un rovistare negli scatoloni altrui, per dilatare all'infinito, o solo per un poco ancora, il momento dell'addio (poi, certo, lo so anche io che ci sono cose "postume" che sono di straordinaria bellezza). Questo libro, comunque, fa eccezione. Perché è postuma solo l'edizione, perché nella raccolta dei pezzi scritti da Mattia Torre ci sono le mani, le voci, le teste, i brindisi, l'affetto degli amici (e l'amicizia, tra i tanti, mi sembra un tratto essenziale della sua produzione). Quasi fosse un'opera "collettiva", un trovarsi ancora, un'ultima volta, a cena. "A questo poi ci pensiamo" è un libro postumo in tutti quei sensi lì, che abbiamo detto, ma non per questo NON è un libro di Mattia Torre. Di conseguenza, si ride tantissimo, e si dice "è proprio così", e si pensa "uguale uguale a come la vedo io, ma lui la scrive meglio", e si conclude, però, "è finito tutto troppo presto". Frou Rocca, la moglie di Torre, ha detto una volta - non ricordo dove, l'ho letto da qualche parte, ne sono certo - che Mattia è stato un "provocatore di felicità". Mi sembra une definizione bellissima, che non richiede altre aggiunte. Io posso solo confermare: ho letto il libro in un weekend. Pagina dopo pagina, sono stato felice, ed è stato bellissimo. Un provocatore di felicità, esatto, proprio così. Dovunque sia. Rilanciamo. P.S. Secondo me l'edizione Mondadori - nella storica collana di punta "Scrittori italiani e stranieri" - con quella grafica e quel lettering anni Ottanta, la copertina rigida, la sovracoperta lucida che scivola via, le pagine di grammatura cartoncino, ecco, non è molto adatta a Mattia Torre.