Il libro sarebbe potuto essere interessante se l'autore avesse provato a descrivere un personaggio, il padre, che ha problemi nel capire la generazione del figlio, articolando questo tema. Ma non illudetevi che il libro abbia questo per oggetto. Purtroppo invece nel libro c'è un personaggio, il padre, che sembra fuso e confuso con l'autore, diventando più diario personale che narrativa, il quale fa di tutto e in tutti i modi, per non capirci nulla del figlio e della sua generazione, per sentire se stesso e la propria generazione coi problemi che si ponevano, come mille volte superiori a questa generazione di supini e sdraiati (definizione che da lo spocchioso titolo al libro), salvo poi che questo padre, nel suo senso di superiorità inarrivabile, si sente ovviamente preso da una solitudine disarmante, sconfinata, della quale però continua a "incolpare" il figlio e relativa generazione per come loro "non sono". E' un libro fortemente moralista, che diventa urticante per le pretese che contiene che vengono spacciate per intellettualità, ci può credere l'autore, e forse qualche opinionista alla tv, ma rimane tutto il dramma di viversi il rapporto tra generazioni in questo modo, e nonostante il personaggio talvolta ha dei tentennamenti in cui prova a mettersi in discussione, si rivelano più l'ennesimo esercizio intellettuale di superiorità, di chi si fa il processo e si assolve, piuttosto che un mero tentare di mettersi in discussione le proprie categorie di lettura, comprensione e rapporto col figlio.