Cento e più anni sono passati dal mondo che descrive Zweig in questo romanzo eppure in un attimo l'autore ci fa sentire tutti tornati ai nostri venticinque anni, questi pochi anni che caratterizzano il protagonista, giovanissimo tenente pieno di timori, energia ed incertezze.
In poche righe ci rende partecipi della sua ebbrezza nel partecipare ad un ballo inebriato da musica, incontri e movimento; in pochi capitoli ci rapisce con la forza dell'illusione e poco importa se parliamo di un paese rurale dell'Austria di cento anni fa, noi lettori siamo tutti lì, come se quel mondo fosse il presente, come se il tempo si fosse fermato.
Viviamo con i protagonisti il fremito della conoscenza, l'impeto dei nostri sentimenti e bruciamo di amarezza mentre anche noi leggendo capiamo che l'amore non si comanda, che non si ricambia per volontà, che niente ferisce più di una passione non corrisposta, incapace di consumarsi ed esplodere.
Ci addentriamo progressivamente nei lati oscuri del sentimento e soffriamo con questi uomini e ragazzi, così meravigliosamente descritti dalla penna di un autore che a quanto pare compensava la sua misoginia nella vita reale con una profonda conoscenza dell'animo umano, di quello maschile e femminile, capace di far comprendere ad ogni lettore la forza e la fragilità di ogni sesso, narrati come due parti complementari dell'amore che dona e toglie allo stesso tempo.
Il cuore è impaziente, il cuore è indomabile, il cuore è imprevedibile soprattutto quando immerso nella gioventù ed è forse questo che rende questo libro così intenso, ovvero la capacità di farci sentire giovani e ardenti pagina dopo pagina, con la consapevolezza che finiremo comunque per bruciarci della nostra stessa passione.