D’altronde, che cosa ho da dire io? Poche cose. E che riguardano soprattutto gli uomini. Questa, per esempio: se avete un cane, o quando ne avrete uno, non siate, vi prego, né ammaestratori né ammaestrati. Cioè: non siate uno di quei ‘padroni’ tutti fieri di aver trasformato il proprio cane in un tappetino, in una belva o in una bambola meccanica. ‘Guardate com’è intelligente il mio cane’ sembra sempre che vi dica quel tipo di gente; e mentre vantano l’intelligenza della loro bestia, sui loro visi di ammaestratori soddisfatti si dipinge una bestialità senza limiti.
Ma non siate nemmeno ammaestrati. Non siate di quelle persone completamente sottomesse alla volontà del cane, che non pensano che a lui, che non parlano che di lui e la cui vita si riassume in questo: possiedono un cane. Un minimo di ammaestramento è necessario. Ma bisogna intendersi sul significato della parola. Un buon ammaestramento è quello che impone il rispetto della dignità di entrambi. «E che cos’è la dignità per un cane?» mi domanderete voi: è di essere cane.
Da questo punto di vista, il buon ammaestratore deve cominciare ad ammaestrare se stesso, cioè a rispettare la dignità del cane che gli vive accanto, se vuole comportarsi lui stesso dignitosamente, da uomo.
In fondo il rispetto delle differenze è la legge stessa dell’amicizia.